Dai primi di luglio, decine e poi centinaia di migranti in transito verso il nord Europa si sono trovati bloccati alla stazione di Como San Giovanni, costretti a interrompere il proprio viaggio a causa della chiusura della frontiera svizzera.
Sin dai primi giorni la solidarietà cittadina si è messa in moto, e quello che abbiamo potuto osservare è stato un grande sforzo orientato a soddisfare i bisogni primari: i primi volontari hanno portato cibo e coperte, poi lentamente si è attivata la macchina istituzionale.
Nel giro di circa un mese dai primi arrivi, i tanti volontari e solidali che si sono avvicinati al campo di San Giovanni hanno potuto meglio fotografare le reali condizioni e l'effettiva ef ficacia di questi interventi: notati i limiti, si è deciso di provare a intervenire in modo
diverso ed in seguito redigere questo rapporto indipendente, che cerca di dare un'interpretazione un po' più "interna e diretta" delle reali condizioni del campo e delle persone che lo popolano.
UNA PREMESSA METODOLOGICA
“Emergenza profughi”, nella “Como città turistica, accogliente e solidale”.
Frasi ripetute quasi fossero un mantra, parole sulla bocca dei tanti, dal Comune ad alcuni volontari, che si sono prodigati nell'affrontare i particolari avvenimenti dell'estate cittadina.
Ma siamo sicuri che di emergenza si tratti? E soprattutto, cosa farebbe un semplice albergatore di fronte ad un “aumento dei visitatori” (qualche centinaio, mica un'invasione) in una città turistica? Sembrerà una provocazione, ma essendo i migranti semplici persone
in transito, i primi interventi sarebbero potuti essere questi, provando a scrollarsi di dosso l'approccio assistenziale e caritatevole, o peggio quello autoritario e intriso di (presunta) superiorità culturale, immaginando il parco di San Giovanni come un campeggio un po'
speciale. L'assenza di un inquadramento globale delle “responsabilità politiche” riguardo il processo migratorio in corso, invece, grazie anche al semplicismo e sensazionalismo giornalistico, hanno fatto percepire a tanti (cittadinanza e turisti) che si fosse in preda ad
un'emergenza, per altro di carattere esclusivamente locale.
PARTE PRIMA: l'intervento sui bisogni primari, fondamentale dal punto assistenziale per arginare il rischio di repentino peggioramento delle condizioni di salute.
Orientamento e assistenza legale
Cercando di inquadrare il problema fuori dall'ottica emergenziale, l'intervento prioritario rimane quello di informare le persone: non è mai esistita una comunicazione ef ficace riguardo, ad esempio, la semplice locazione dei servizi messi a disposizione in città.
Solo dal 26 agosto viene messo in piedi dal Comune uno sportello di assistenza legale: se si crede che il rispetto della legalità sia un aspetto determinante, si sarebbe dovuto affrontare questo aspetto con priorità assoluta. Per fortuna fino a pochi giorni fa questo
enorme lavoro era portato avanti non senza dif ficoltà dalla deputata ticinese Lisa Bosia Mirra dell'associazione Firdaus in collaborazione con il soccorso operaio svizzero e con il prezioso supporto della giurista comasca Luciana Carnevale.
Con il tempo sono entrate in gioco altre realtà capaci di muoversi su questo campo, e quindi si è passati dal lavoro "fondamentale" della raccolta di storie e testimonianze individuali, utili ad avanzare le richieste di ricongiungimento familiare in Svizzera e delle
richieste di asilo, ai corsi di formazione da parte delle avvocatesse di ASGI alla messa a disposizione di guide prodotte da varie organizzazioni indipendenti europee, nelle varie lingue. Le visite del personale di Medici Senza Frontiere e di Save the Children hanno
rafforzato questo tipo d'intervento, rivolgendosi soprattutto alle situazioni più critiche.
Tuttavia, manca ancora un lavoro sistematico, continuativo, in grado di spiegare ai migranti in transito il "sistema Dublino" e la complessità della loro condizione d'illegalità.