Abbiamo a disposizione strumenti e tecniche sempre più efficaci per conservare i cibi: essicazione; refrigerazione; impacchettamento sotto vuoto o con gas antiossidanti; conservanti, etc.
La rapida evoluzione e diffusione di queste tecniche dovrebbe migliorare e garantire la qualità del nostro cibo. In realtà la loro applicazione non porta sempre alla risoluzione dei problemi e un uso inappropriato ne crea nuovi; come avviene in altri campi (medicina, informazione, comunicazione, industria, agricoltura) i benefici reali derivati all’essere umano dalle tecnologie non sono proporzionali alle loro formidabili potenzialità. Le cause sono sempre le stesse:
a- L’obiettivo che ispira, orienta e finanzia la ricerca e l’evoluzione tecnologica è il profitto.
b- Mancanza di consapevolezza nell’uso delle tecnologie.
c- Le tecnologie avanzate favoriscono la separazione dell’”io” dall’”altro”*.
(* dove “io” siamo noi che utilizziamo strumenti senza una comprensione immediata e diretta del loro funzionamento: i circuiti dello smartphone; gli algoritmi e i sistemi matematici che gestiscono il flusso di informazioni in internet e nei social; il motore e la centralina dell’automobile.
“altro” sono gli esseri viventi, le cose, gli oggetti e l’energia con cui siamo in relazione).
La nostra evoluzione genetica è molto più lenta rispetto all’evoluzione tecnologica. Noi siamo ancora fatti per toccare con mano la terra, le altre persone e gli animali; siamo fatti per ascoltare i rumori della natura, sentire gli odori; siamo fatti per muoverci a piedi nella natura.
Per esempio i nostri occhi non sono adatti a guardare uno schermo a 20 cm di distanza; alla lunga si stancano, si irritano e ci rendono nervosi. Sono invece molto più adatti ad osservare un paesaggio aperto spostando l’attenzione da oggetti vicini all’orizzonte; è per questo che ci rilassiamo se passeggiamo nel verde guardando le piante; è per questo che gli enormi progressi delle tecnologie ottiche e gli ottimi risultati della chirurgia oculistica laser e a fotoni non si traducono in un miglioramento generale delle capacità visive dei nostri ragazzi. In base ai risultati di uno studio australiano pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet” nel 2017 si prevede nei prossimi 10 anni un aumento del 100% di problemi di miopia e strabismo degli under 25 legato al tempo di utilizzo degli schermi digitali.
Intervenire sul punto a è difficile, dato che ormai la logica del profitto non è più solo la base della nostra economia e del mondo del lavoro, ma è penetrata persino nelle nostre relazioni più intime. Per affrontare il punto c bisognerebbe approfondire tematiche complesse legate alla spiritualità e alla biologia. Essendo la natura del nostro gruppo centrata sul consumo consapevole, mi soffermerò solo sul punto b.
Partiamo dal solito esempio: la farina raffinata.
Fin da bambini ci hanno abituati a consumarla e ad apprezzarla perché: consente di ottenere impasti più morbidi, ben amalgamati e che lievitano meglio; ha un sapore più delicato e che si lega meglio agli altri; è più digeribile ed è più apprezzata dai bambini. Solo recentemente si è iniziato a parlare delle scarse qualità nutritive e del suo pessimo indice glicemico che favorisce diabete, sindrome metabolica e dipendenza ormonale.
Ma qual è il vero motivo che ha determinato la sua diffusione?
Siccome si conserva più facilmente della farina integrale non trattata chimicamente (germe e crusca si deperiscono più facilmente) è più adatta alle esigenze commerciali dell’industria alimentare e della grande distribuzione.
Per migliaia di anni il nostro gusto si è evoluto per scegliere e distinguere tra un ampia gamma di sapori, consistenze, colori, profumi e biodiversità di semi e chicchi integrali; poi in meno di un secolo è stato dis”educato”, drogato e omologato verso le farine raffinate, le monoculture industriali e gli aromi industriali naturali o chimici. I bambini di oggi sanno riconoscere e apprezzare di più l’aroma artificiale di fragola, rispetto alla fragola naturale; apprezzano le farine raffinate e rifiutano quelle integrali. L’industria alimentare predilige alimenti facili da conservare, riproducibili, raffinati e il più possibile “sterilizzati e senza vita”.
Chi coltiva ciò che mangia sa che i cibi freschi e non trattati sono più difficili da conservare.
È facile capirlo per la frutta se avete un albero di ciliegie: se le prendete anche solo qualche giorno prima della piena maturazione sono dure, aspre e poco dolci; se le cogliete mature al punto giusto, dopo solo due giorni le trovate rammollite e iniziano a marcire.
È facile capirlo anche per le verdure: l’insalata dell’orto in frigo dopo due giorni appassisce; quella impacchettata e disinfettata del supermercato (privata di quella flora microbica fondamentale per il nostro intestino e il sistema immmunitario) dura due settimane; un pomodoro maturo dopo una settimana si raggrinzisce.
Ma anche coi cereali integrali non trattati vale lo stesso principio: sono più soggetti a muffe, farfalline, deperimento etc.
Dai nostri produttori ho scoperto che il tipo di tostatura delle noci e delle mandorle dipende da quanto a lungo vogliamo conservarle. Un’essicazione lenta, di breve durata e a basse temperature lascia il frutto più saporito, morbido e nutriente, ma si conserva meno a lungo. Persino una bevanda a lunghissima conservazione come la birra cambia radicalmente se bevuta fresca appena fatta o vicino alla scadenza.
Il nostro pensiero sulla conservazione dei cibi è stato invece ridotto e omologato al concetto di data di scadenza. Ci basta riconoscere quel limite: prima va bene; dopo non va bene. Non valutiamo più odori, colori, sapori, provenienza, ingredienti, specificità, consistenza, luogo, clima, distanza, temperatura. Abbiamo ridotto la conservazione dei cibi ad un sistema binario (scaduto\non scaduto) molto comodo affinché un computer possa gestire un supermercato e un’industria. Persino l’agricoltura viene digitalizzata senza avere ancora compreso a fondo il funzionamento e gli equilibri delle piante. In Giappone, per esempio, hanno realizzato un prototipo di micro-drone impollinatore per sostituire le api; è proprio in questi progetti di tecnologia avanzata simbolo della presunta superiorità e dell’onnipotenza dell’intelligenza dell’essere umano, nei quale emerge la sua stupidità e l’incapacità di capire, rispettare e interagire in equilibrio con le altre specie.
Anche quando ci rendiamo conto del nostro impatto sul pianeta, consideriamo la fine della nostra specie come la fine della vita sulla terra. In realtà il riscaldamento globale, la sovrappopolazione, l’esaurimento delle risorse naturali possono compromettere la nostra sopravvivenza, ma non quella di altre specie viventi che dimostrano una capacità di adattamento (una delle definizioni scientifiche di intelligenza) nettamente superiore alla nostra (il 98% della massa di esseri viventi è rappresentato da piante). Di fronte a certe manifestazioni distruttive dell’intelligenza umana, non si può dar torto al neurobiologo Stefano Mancuso che, dato che la tecnologia non si dimostra in grado di risolvere i nostri problemi, propone di cercare soluzioni e modelli nella biologia e nel funzionamento delle piante.
Queste considerazioni valgono particolarmente nel campo dell’alimentazione, dato che le piante, oltre a essere necessarie per la nostra sopravvivenza, ci forniscono da mangiare.
Riprendo l’esempio delle ciliegie: nel processo evolutivo si sono selezionate piante in grado di produrre frutti che all’apice della loro maturazione siano il più possibile attraenti per gli animali: colorati, saporiti, profumati, dolci, nutrienti. Sia basandosi su studi scientifici che usando i nostri sensi si può individuare la fase di maturazione ideale in cui consumare una ciliegia. Questo intervallo di tempo dura pochi giorni; siccome questo tempo naturale non soddisfa le esigenze della grande distribuzione e quelle della nostra vita frenetica (non abbiamo tempo di scegliere, guardare, assaporare una ciliegia) abbiamo introdotto delle procedure artificiali per conservare i frutti per diverse settimane: raccolta precoce; maturazione senza sole; impacchettamento in tonnellate di plastica; conservazione e trasporto in celle frigorifere energivore e con gas antiossidanti. Gli effetti collaterali di questo processo sono: inquinamento del pianeta; consumo di energia; alterazione del sapore e del nutrimento del frutto “messo a punto” dalle piante in migliaia di anni di evoluzione.
Affermare che il gold standard (scusatemi l’americanismo, ma spesso l’inglese rende l’idea con meno parole) è consumare cibi freschi appena colti al giusto grado di maturazione sembra una banalità. In realtà accettare questo principio così semplice e logico comporta rivoluzionare completamente il nostro sistema di vita individuale, sociale ed economico. Se questo è il modello da seguire dobbiamo cambiare completamente il nostro stile di vita, di fare la spesa, di cucinare. Se questo è l’obiettivo a cui ispirarsi è facile immaginare quale deve essere il modello agricolo, il modello di distribuzione e la dimensione delle comunità ideali. Piccole aziende integrate in piccole comunità e in equilibrio con l’ambiente, le piante, le persone e agli animali di quel territorio. Il nostro naturale e innato bisogno di appartenenza viene soddisfatto solo da relazioni e contatti diretti. Cosi come fanno le piante con le loro radici!
Se questo è un utopia e la politica globale e il progresso tecnologico ci spingono in altre direzioni (anche quelle con parole altisonanti: sostenibilità economica ed energetica; politica delle reti globali) allora dobbiamo continuare ad approfondire il tema non proprio divertente della conservazione dei cibi: conservanti, proliferazioni batteriche, deperimento organico, muffe, putrefazione etc.
Per non parlare solo di vegetali riporto alcuni dati significativi sulla conservazione della carne:
- Nella carne fresca di manzo appena macellata affettata e chiusa in sacchetti di plastica alla temperatura di 12 gradi il tempo di generazione batterica è 15 minuti. Questo è il tempo necessario ai batteri presenti nella carne per fare"figli". Se in un ora si moltiplicano per 4 volte proviamo ad immaginare quanti cataboliti e tossine possono produrre (scusatemi la volgarità: " Ma se fanno in tempo a fare migliaia di figli chissà quanta cacca fanno”). Io sono esperto di batteri del cavo orale, dove le condizioni sono molto meno favorevoli alla proliferazione batterica; ma anche dopo un accurata igiene orale e senza introdurre zuccheri, ai batteri bastano 8 ore per riorganizzarsi e diventare patogeni: cioè produrre acidi e centinaia di tipi diversi di tossine in grado di abbassare il ph della saliva sotto 4, demineralizzando lo smalto dei denti e infiammando le gengive: Questi batteri sono i responsabili delle più diffuse malattie della bocca: carie e parodontite (ma non preoccupatevi; basta disturbare le organizzazioni batteriche con lo spazzolino 2 volte al giorno e diventano innocui; un po’ come per la malavita organizzata nei nostri parchi …).
I batteri della carne morta sono molto più veloci a moltiplicarsi perché non sono ostacolati da nessun sistema di difesa (chimico o immunitario). Essi sono responsabili dei processi di putrefazione, trasformando i composti organici azotati (proteine) in varie sostanze tra cui gli alcaloidi cadaverici: scatolo, indolo, putrescina, cadaverina, neurina, ecc. A 20° la putrefazione completa avviene dopo circa 3 giorni, ma inizia appena l’animale viene ucciso.
La legge 853\2004 (del regolamento del parlamento europeo … non del codice dei vegani ) prevede che durante il trasporto: “la carne di manzo non deve superare i 7°; il pollame (che si deperisce prima) non deve superare i 4°; se affettata e lavorata non dovrebbe superare i 2°”. Ogni grado di temperatura in più aumenta la capacità di proliferazione batterica.
La carne fresca non dovrebbe mai essere lasciata più di un’ora a temperature maggiori di 12 gradi.
La maggior parte dei batteri che proliferano sono termolabili, cioè se la carne viene cotta bene muoiono e non comportano rischi immediati per la salute. Vengono però compromesse le caratteristiche nutritive e organolettiche della carne. Inoltre le sostanze prodotte anche nelle fasi iniziali di putrefazione risultano tossiche anche dopo una accurata cottura.
So che non uccidiamo i nostri figli se gli diamo carne di pollo che durante il trasporto è stata più di un ora sopra i 12 gradi (già non sapremo mai con quanta cura è stata conservata e macellata prima del trasporto), ma se per caso gli vengono delle scariche di diarrea, escluderei l’ipotesi diagnostica più frequentemente formulata oggi dai medici: virus intestinale!
Col pesce è facile percepire la differenza attraverso i sensi: il pesce appena pescato profuma di mare; il pesce conservato a norma di legge in un supermercato puzza quasi sempre. Siamo così assuefatti che scambiamo tale puzza per odore di pesce; in realtà quella è la puzza della putrefazione del pesce.
Forse è meglio sognare delle utopie che approfondire il tema della conservazione dei cibi. Quando si entra nel dettaglio di come vengono coltivati, allevati, prodotti e conservati i cibi che troviamo al supermercato viene voglia di fare lunghe passeggiate nei prati per scegliere: i posti migliori, le foglie migliori, con l’appropriato equilibrio microbico e al giusto grado di maturazione del … tarassaco selvatico. Se consideriamo che i problemi alimentari principali dei paesi ricchi occidentali sono l’eccesso di calorie, di zuccheri raffinati, di proteine animali, di grassi idrogenati e l’alterazione del microbiota intestinale etc … faremmo un piccolo passo salutare mangiandoci per cena 10 steli di tarassaco conditi con olio extravergine ed erbe aromatiche; stando attenti a non cadere nelle degenerazioni modaiole trasmesse dagli chef in televisione che portano piatti a base di erbe spontanee a costare degli spropositi; la logica del profitto arriva ovunque, figuriamoci se non altera la nostra percezione del rapporto qualità\prezzo.
Buona primavera con frutti e erbe appena colte!