Atto Senato n. 2469 - Commissione industria, commercio, turismo del Senato della Repubblica - 23 Febbraio 2021 - Le presenti osservazioni fanno riferimento alla discussione istruttoria per l’esame del disegno di legge n. 2469 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) e sono depositate a nome del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, una rete di comitati territoriali e organizzazioni nazionali che da oltre quindici anni è impegnato per una gestione pubblica e partecipativa del
servizio idrico integrato, per il pieno riconoscimento del diritto all’accesso all’acqua e più in generale per la difesa dei beni comuni.
Evidenziamo la nostra estrema preoccupazione in merito ai contenuti del Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 visto che questo provvedimento si propone finalità esplicite: rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati. Nello specifico le nostre osservazioni si concentrano in merito all’articolo 6 “Delega al Governo in materia di servizi pubblici locali” tramite il quale il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo di riordino della materia dei servizi pubblici locali, anche tramite l’adozione di un apposito testo unico. In estrema sintesi, le disposizioni contenute in diverse lettere del comma 2 di suddetto articolo, a nostro avviso, produrranno l’effetto di limitare ulteriormente, rendendo sostanzialmente residuale, la forma di gestione in autoproduzione (cosiddetto anche “in house providing”) ossia l’autorganizzazione del servizio, compresa la vera e propria gestione pubblica tramite enti diritto pubblico come ad es. azienda speciale e azienda speciale consortile.
Tale effetto deriva nello specifico dal combinato disposto delle lettere f), g), h), i) sulla base delle quali gli Enti Locali che opteranno per l’autoproduzione del servizio dovranno “giustificare” (letteralmente) il mancato ricorso al mercato mediante una motivazione anticipata e qualificata sottoponendola al giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, oltre a prevedere sistemi di monitoraggio dei costi.
Ciò avrà conseguenze non solo per le scelte future ma anche sulle gestioni in essere visto che alla lettera i) s’impone una procedura che reitera periodicamente la richiesta di una giustificazione da parte dell’Ente Locale rispetto alle ragioni che lo hanno portato a ricorrere e a mantenere il modello dell’autoproduzione.
Inoltre, si prevedono “premialità” volte a favorire le aggregazioni tra aziende (lettera d) indicando così chiaramente che il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti praticamente a tempo indefinito. Tutto ciò in perfetta continuità con quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
E’ eclatante la contraddizione tra la tanto decantata concorrenza e il fatto, noto a tuttə, per cui nel servizio idrico questa è impossibile stante la natura di monopolio naturale.
D’altra parte emerge chiaramente una disparità di trattamento rispetto all’affidamento al mercato (lettera s) per cui gli Enti Locali che procedono in tale direzione avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati.
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Evidenziamo, altresì, una criticità nel ruolo che, sulla base della lettera g), dovrebbe assumere l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato visto che l’eventuale controllo e giudizio di questa autorità indipendente andrebbe a pregiudicare il libero esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni limitando una scelta, quella della forma di gestione di un servizio pubblico essenziale, che è anche e soprattutto politica.
L’articolo 6 si configura, dunque, come un proditorio attacco all’autonomia comunale e rischia di produrre lo smantellamento completo della funzione pubblica e sociale dei Comuni per cui questi da presidi di democrazia di prossimità saranno ridotti a meri esecutori della spoliazione della ricchezza sociale, costretti al ruolo di enti unicamente deputati a mettere sul mercato i servizi pubblici di propria titolarità, con grave pregiudizio dei propri doveri di garanti dei diritti della comunità di riferimento.
La lettera q), introducendo la “revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti”, pone le premesse per la svendita ai privati delle infrastrutture costituenti il demanio degli Enti Locali (art. 42 della Costituzione e art. 824 del cod. civ.).
Uno scenario, a nostro avviso, assolutamente da scongiurare.
Altra questione che ci teniamo particolarmente ad evidenziare è la palese contraddizione dell’esito referendario del 2011.
Infatti, la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dettata dall’articolo 6 risulta evidentemente contraddistinta nella forma e nella sostanza (lettera b) e lettera f)) da una ratio riconducibile a quella abrogata dal referendum del 2011 (l’art.23 bis del Decreto Ronchi - D.L. 112/2008 convertito con modifiche dalla L. 133/2008) producendo una concreta riduzione delle ipotesi di affidamenti “in house”, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ledendo così la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria.
Per giustificare l’orientamento del disegno di legge sulla concorrenza si richiamano presunti obblighi o adeguamenti alla normativa comunitaria.
Niente di più falso, non ce lo chiede l’Europa.
A riguardo sembra necessario evitare l’affermarsi di posizioni quasi fideistiche che sembrano individuare come unico principio del diritto comunitario quello della concorrenza.
In sostanza esistono altri principi, nell’ordinamento comunitario, che hanno la stessa rilevanza e che sono da porre sullo stesso piano, senza gerarchie o priorità.
∙ Dispone l’art. 16 del Trattato UE : "Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti.".
∙ L’art 86 del Trattato prevede che "2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.”.
La missione a loro affidata è quella di promuovere la coesione sociale, territoriale ed economica della comunità europea, non quella di costituire una sorta di volano per la sviluppo della concorrenza. Per questi motivi (anche per l’esplicito utilizzo del termine “limiti”) possono giustificarsi delle ragionevoli limitazioni della concorrenza, in vista della realizzazione di interessi pubblici di portata essenziale. Ciò, in particolare, secondo la Corte di Giustizia CE, è legittimo nella misura in cui si rendano necessarie misure per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese Segreteria Operativa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
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titolari dei diritti esclusivi.
∙ Nell’interpretazione, inoltre, dell’art. 86 del TUE fornita dalla stessa Commissione Europea nel Libro Bianco sui servizi di interesse generale, del 12.05.2004 n° COM (2004) 374, si legge che "... in base al Trattato CE e in presenza delle condizioni di cui all'articolo 86, paragrafo 2, l’effettiva prestazione di un compito di interesse generale prevale, in caso di controversia, sull'applicazione delle norme del trattato. Pertanto, la normativa tutela i compiti piuttosto che le loro modalità di esecuzione. Il trattato consente quindi di conciliare il perseguimento e la realizzazione degli obiettivi di politica pubblica con gli obiettivi di competitività dell’Unione europea nel suo insieme". La Commissione prosegue affermando (pag. 11), commentando la propria proposta di direttiva sui servizi di interesse generale, che "Un aspetto ancora più importante risiede nel fatto che la proposta non impone agli Stati membri di aprire i servizi di interesse economico generale alla concorrenza e non interferisce sulle modalità di finanziamento o di organizzazione ".
∙ Inoltre, la Commissione, nella Comunicazione interpretativa sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati, del 5 febbraio 2008, n° C (2007) 6661, ribadisce nuovamente che "nel diritto comunitario, le autorità pubbliche sono infatti libere di esercitare in proprio un'attività economica o di affidarla a terzi, ad esempio ad entità a capitale misto costituite nell'ambito di un partenariato pubblico-privato."
Sembra significativo, in proposito, che la stessa Commissione Europea, notoriamente attenta ad impedire potenziali violazioni del principio di libera concorrenza, debba comunque dar conto della cedevolezza del detto principio concorrenziale di fronte a quello di libertà di autorganizzazione degli Stati membri e delle loro articolazioni interne.
L’art. 5 del Trattato prevede il principio di auto-organizzazione amministrativa che trova il suo fondamento nel più generale principio di autonomia istituzionale.
Questo comporta almeno due conseguenze:
- la definizione stessa di Servizi di interesse generale e di servizi economici di interesse generale compete agli Stati membri e alle loro “suddivisioni costituzionalmente riconosciute” (nel caso italiano, quindi, le autonomie locali);
- il diritto, per gli stati membri e le istituzioni locali di ricorrere alla autoproduzione dei servizi. ∙ Nella "Risoluzione sul Libro verde sui servizi di interesse generale (COM (2003) 270 - 2003/2152(INI))" del 14 gennaio 2004, il Parlamento Europeo: "18. ribadisce l'importanza fondamentale del principio di sussidiarietà, a norma del quale le autorità competenti degli Stati membri possono operare la loro scelta in materia di missioni, organizzazione e modalità di finanziamento dei servizi di interesse generale e dei servizi di interesse economico generale; sottolinea che una direttiva non può stabilire una definizione europea uniforme dei servizi di interesse generale, poiché la loro definizione e strutturazione deve restare di competenza esclusiva degli Stati membri e delle loro suddivisioni costituzionalmente riconosciute;"
"35. auspica che, in ossequio al principio di sussidiarietà, venga riconosciuto il diritto degli enti locali e regionali di «auto produrre» in modo autonomo servizi di interesse generale a condizione che l'operatore addetto alla gestione diretta non eserciti una concorrenza al di fuori del territorio interessato; chiede, conformemente alla sua posizione sulle direttive concernenti i contratti di servizio pubblico, che le autorità locali vengano autorizzate ad affidare i servizi a entità esterne senza procedure d'appalto qualora la loro supervisione sia analoga a quella esercitata da esse sui propri servizi e qualora svolgano le loro principali attività mediante tale mezzo".
A nostro avviso, la logica, dunque, che muove l'intero disegno di legge, oltremodo evidenziata nell'articolo 6, è quella di chiudere il cerchio sul definitivo affidamento al mercato dei servizi pubblici essenziali. Si tratta di un provvedimento ispirato da un’ideologia in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica, soprattutto nel Segreteria Operativa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
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servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia.
Siamo convinti che questo provvedimento rappresenti il punto di demarcazione tra due diverse culture, quella che considera un dovere il rispetto e la garanzia dei diritti fondamentali e quella che trasforma ogni cosa, anche le persone, in strumenti economici e merci.
In ultimo, non possiamo che esprimere forte disappunto e contrarietà rispetto al fatto che noi e il Prof. Alberto Lucarelli (Ordinario di diritto costituzionale dell’Università Federico II di Napoli) non siamo stati inseriti tra i soggetti auditi bensì solo tra quelli a cui è stato richiesto un documento scritto. Ci sembra un pessimo segnale in quanto rende evidente la volontà di escludere una voce che proviene dalla società civile e dalla cittadinanza attiva fortemente critica di questo provvedimento quando, invece, nelle aule parlamentari si dovrebbe dare voce anche a chi è portatore di una cultura dei diritti e non del mercato, evitando così di produrre un vulnus profondo ai principi democratici che risiedono proprio nel pluralismo del processo legislativo.
Auspichiamo, infine, che i Senatori, le Senatrici, si adoperino per far si che questo disegno di legge non si configuri come uno strumento volto a contraddire l’esito referendario del 2011 e la volontà popolare chiaramente espressa.
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