S.I.Cobas ADL - Traduciamo lo stato di agitazione proclamato nell’indicazione di restare a casa per esercitare il diritto alla salute e alla vita conservando il reddito dei lavoratori.
Il Governo nella giornata di sabato 14 marzo ha sottoscritto con i sindacati confederali e con le associazioni padronali un protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e contenimento della diffusione del Covid 19.
Prima di entrare nel merito dei vari DPCM e di questo Protocollo è necessario fare alcune premesse.
1) Risulta evidente la macroscopica contraddizione legata al fatto che, fintanto che ci saranno 15 milioni di lavoratori e lavoratrici che saranno in movimento in tutto il paese recandosi in massa nei luoghi di lavoro, a prescindere dalla corretta applicazione delle normative previste anche da quest’ultimo Protocollo, ben difficilmente si può pensare che la guerra contro il coronavirus possa produrre effetti significativi in un tempo ragionevole.
2) Se è scientificamente provato che il modo migliore per combattere il coronavirus è quello di non entrare in contatto e rimanere a casa è evidente che anche tutti i lavoratori e le lavoratrici, ad esclusione di chi opera in servizi essenziali, devono fare altrettanto.
3) La scelta di non bloccare anche il mondo del lavoro risponde ad una precisa logica: salvaguardare la produzione e quindi i profitti prima ancora della vita stessa, con il risultato che, probabilmente, i tempi per debellare il virus si allungheranno ulteriormente, mietendo ancora più vite umane e spostando sempre più in avanti la ripresa della normale attività.
4) Quello che sta succedendo – il rischio di collasso della sanità pubblica, causato dai tagli apportati negli ultimi decenni e dalla privatizzazione di una infinità di servizi sanitari (politica appoggiata e sostenuta dai sindacati confederali con l’inserimento degli Enti Bilaterali in tutti i CCNL) ci porta a dire che la battaglia che oggi stiamo facendo contro il coronavirus deve contenere in sé, qui ed ora, l’obiettivo di imporre investimenti mirati e aumenti i personale nella Sanità Pubblica, come unico baluardo per un esercizio effettivo del diritto alla salute. Soprattutto in tempi nei quali, probabilmente, gli stravolgimenti ambientali, frutto di questo modello di produzione capitalistico, porteranno a nuove grandi emergenze sanitarie.
5) Di pari passo, deve essere ripresa con determinazione la lotta contro le spese militari ( basti pensare che un solo caccia f35 costa quanto 7113 ventilatori polmonari).
6) E’ evidente che si è aperta una nuova fase di accelerazione dei conflitti globali e che è necessario attrezzarci per una prospettiva di lotta di cui non è possibile prevedere né la tempistica né l’evoluzione. DI qui la sempre più stringente necessità da parte nostra di rappresentare gli interessi degli sfruttati, in quanto le crisi economiche, le carestie, le pandemie colpiscono più duramente i lavoratori e i settori più poveri della società.
Ciò detto e dopo avere letto il recente Protocollo che regolamenta le condizioni che dovrebbero essere imposte alle aziende per lavorare in sicurezza, formuliamo alcune considerazioni e di conseguenza alcune proposte di lotta.
L'ACCORDO GOVERNO-SINDACATI CONFEDERALI-PADRONI NON RECEPISCE SICURAMENTE LE INDICAZIONI EMERSE DALLE LOTTE OPERAIE DI QUESTI GIORNI!
Il testo firmato da governo e parti sociali nella giornata del 14 marzo non è nulla di nuovo rispetto alle precedenti regole stabilite dal DPCM e lascerà infatti la gestione della sicurezza ed emergenza sanitaria nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro alla discrezione degli imprenditori, in quanto, come abbiamo già avuto modo di verificare in questi giorni, in assenza di controlli o di scioperi dei lavoratori, si è continuato a lavorare in condizioni pericolosissime.
Nella premessa del decreto viene riportato che le uniche intese tra organizzazioni sindacali e datoriali devono inerirsi alle attività produttive, sancendo ancora una volta il primato della produzione sulla vita, sulla salute, sui diritti dei lavoratori! Vengono inserite molte norme comportamentali la cui verifica diventa di fatto impraticabile. Ma proviamo a vedere i punti di maggiore criticità.
Il primo aspetto che emerge con chiarezza è che, nonostante vi siano state anche precise richieste da parte di Presidenti di Regione, non vi è alcuna chiusura delle attività non essenziali. La gestione del Protocollo viene affidata ad un fantomatico “Comitato” che dovrebbe verificare se le regole previste dallo stesse vengano rispettate. In realtà è chiaro che in moltissime realtà lavorative non esiste nemmeno l’RLS, pertanto è chiaro che, al di là delle buone intenzioni, la gestione del Protocollo è a totale discrezione delle aziende
Ma c’è un punto fondamentale che chiarisce quanto questo Protocollo sia del tutto inefficace: al punto 2 del capitolo “MODALITA’ DI INGRESSO” al secondo paragrafo si dice “Il datore di lavoro informa preventivamente il personale e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID 19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS”. E qui “casca l’asino”, nel senso che se tutta Italia è considerata zona a rischio, ed in particolar modo in tutte le aree del nord nelle quali la pandemia è cresciuta in modo esponenziale, è chiaro che nessuno potrebbe entrare a lavorare. Tant’è che in molte industrie del Bresciano e del Bergamasco, le stesse aziende hanno deciso di chiudere per almeno 15 giorni.
Viene poi stabilita tutta una serie di regole sulle misure di distanza di sicurezza, sulle modalità di ingresso e di uscita, sul come stare in mensa, sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, ma nulla si dice ad esempio sul come i lavoratori arrivano al lavoro. Quanti sono i lavoratori che si recano al lavoro in “car shering”, in 4 o cinque in una macchina. A cosa serve allora il distanziamento se non si controlla come si arriva al lavoro.
Per quanto riguarda i DPI non sono più obbligatori quelli conformi alle disposizioni dell’OMS, ma possono essere utilizzati dispositivi reperibili attualmente sul mercato.
Viene fatto divieto di qualsiasi riunione in azienda, quindi anche di svolgere assemblee sindacali, ma se così è, chi dovrebbe garantire l’applicazione delle disposizioni.
In merito alla sorveglianza sanitaria si fa riferimento genericamente al medico competente. Non si prevedono specifici controlli delle Asl. nulla. Si demanda ad una comitato formato da azienda e rls e rsa, dove le stesse non hanno nemmeno avuto una specifica formazione in tal senso, se non ad opera del sindacato li dove c'è.
Anche in caso di una persona rivelatasi positiva al Covid 19 , non è prevista la quarantena per tutti quei lavoratori che hanno lavorato nello stesso reparto, e non è consentito ai lavoratori di decidere di mettersi in quarantena, ma è sempre e solo l’azienda che “potrà chiedere agli eventuali possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente lo stabilimento. Quindi questo Protocollo peggiora le norme sulla sicurezza e i diritti dei lavoratori, su tutte la legge 81/08 che prevede espressamente che in caso di pericolo si possa abbandonare il posto di lavoro senza alcuna conseguenza disciplinare.
PROPOSTE DI LOTTA
In nome della salvaguardia della salute individuale e collettiva ribadiamo il diritto di lavoratori e lavoratrici di tutti i comparti di rimanere a casa , ad eccezione di chi opera nei servizi veramente essenziali. In questa direzione abbiamo promosso lo stato di agitazione nazionale che si traduce, in questa fase particolare di pandemia, nell’indicazione di astenersi in massa dal lavoro, anche laddove possano sussistere ( ma sara’ molto difficile che cio’ avvenga) le condizioni di sicurezza previste dal protocollo e dai vari DPCM, reclamando il diritto ad usufruire degli ammortizzatori sociali con l’obiettivo di integrazione al 100 % del salario.
Questa modalità di lotta vogliamo metterla in atto proprio perché ci rendiamo conto che da parte governativa e padronale, al primo posto, c’è il profitto a costo della vita dei lavoratori. Con un approccio irresponsabile verso la vita umana o meglio di tipo criminale, si è disposti a sacrificare salute e vita di migliaia di persone. Abbiamo, come sindacati, visto e constatato in questi primi venti giorni di epidemia da coronavirus quali sono state le condizioni lavorative all’interno delle fabbriche e dei magazzini della logistica. Si vorrebbe lasciare ad intendere che basta oggi un protocollo per garantire la sicurezza sul lavoro, quando, tra le altre cose, diversamente da quello che viene fatto per chi porta a pisciare il cane che può incorrere in una condanna penale, non è prevista alcuna sanzione per chi non garantisce la salute e la vita della forza lavoro.
• Per QUESTI motivi, per salvaguardare la vita e la salute dei lavoratori e dei cittadini, proponiamo che si avvii una prima tornata di giorni di astensione collettiva dal lavoro, pretendendo un “salario di quarantena” così come stanno iniziando a rivendicare molte altre figure del lavoro precario che oggi sono già senza lavoro e senza salario.
• Laddove non sussistano le condizioni di sicurezza sia per quanto riguarda i servizi essenziali (alimentari, sanità, farmaceutica, energia, ecc.) sia per tutto il resto del mondo del lavoro , e’ fondamentale che gli rsa con gli rls controllino se realmente le condizioni che vengono poste dal protocollo siano rispettate ed in caso contrario va esercitato il diritto ad astenersi dal lavoro pretendendo la piena retribuzione che dovra’ essere erogata direttamente dal datore di lavoro in quanto non ha applicato la normativa in materia di sicurezza, offrendo eventualmente la prestazione e diffidando l’azienda alla messa a norma.
• Va rivendicato fino in fondo il diritto ad organizzarsi sindacalmente nel rispetto delle regole fondamentali per evitare il contagio, ma è chiaro che la gestione di questa fase della nostra vita e di milioni di lavoratori non può essere lasciata nelle mani del Governo e dei padroni. Continuiamo ad insistere nella richiesta rivolta al Governo, al Ministero del lavoro ed al MISE di accogliere la richiesta di incontro con le nostre organizzazioni per raccogliere le richieste che provengono in particolare modo dai lavoratori della logistica trasporti , un mondo che rappresentiamo in termini maggioritari.In questo senso ci è stato rivolto un invito ad un incontro con Fedit per verificare se vi sono le condizioni per la firma di uno specifico protocollo di cui verrà anche data comunicazione al Ministero
Alla luce di queste considerazioni è evidente che il rimanere a casa deve, non solo, essere un diritto, ma, soprattutto, un dovere per tutti, ad eccezione solo per quelle persone che lavorano nei servizi essenziali.
Diamo vita a partire dalla prossima settimana ad una vera astensione di massa dal lavoro in difesa della salute e della vita di tutti.
Sulle proposte economiche del decreto che uscirà ci sono tutte le possibilità di chiedere ovunque che vengano applicate per lasciare a casa i lavoratori, (cig ordinaria, cig in deroga, fis, ecc) si tratta ovviamente di continuare a rivendicare il 100% della retribuzione,