Dario Bardellotto - Aumentano separazioni, single, coppie senza figli e chi resta a vivere in nuclei familiari solo per motivi economici. Contemporaneamente sentiamo parlare sempre più spesso di convivenza coi virus. La biologia ci può insegnare qualcosa su questi argomenti? Si, molto! Le più recenti acquisizioni scientifiche confermano e
integrano significati e contributi già forniti da altre discipline come fisica, filosofia, linguistica, psicologia, ecologia, etc.
“L’individuo è innanzitutto relazione.” (La relazione con l’altro in filosofia e biologia, T. Schillaci, 2021; dove T. sta per Teresa e non per Totò).
Siccome il tema delle relazioni è per sua natura complesso partiamo da quelle più semplici. I virus sono entità elementari che sviluppano con noi umani una relazione semplice e di totale dipendenza unilaterale. Essi non sono considerati degli esseri viventi; hanno strutture e funzioni molto semplici; non hanno coscienza, intelligenza e autonomia ed essendo paragonabili a dei banali codici matematici producono informazioni numeriche affidabili e semplici da interpretare. Essendo il Covid diffuso in tutto il mondo, in varie situazioni e contesti, forniscono un’enorme quantità e varietà di dati facili da analizzare con metodi matematici e statistici per approfondire la relazione virus-umani e le conoscenze sul funzionamento del nostro sistema immunitario che funge da “mediatore”.
Nella relazione tra specie umana e Sarscov2 stiamo assistendo alla più veloce diffusione ed evoluzione di un patogeno nella storia umana; tuttora ci sono i presupposti matematici e biologici perché lo sviluppo di nuove varianti, mai così infettive, prosegua con ancora maggiore velocità.
Il problema non è la comparsa di un nuovo virus, dato che conviviamo già con miliardi di tipi diversi di tali esseri e conosciamo solo lo 0.1% di quelli presenti nell’ambiente; la biodiversità non solo è uno degli indici fondamentali della salute di un ecosistema, ma caratterizza anche il “sé” biologico.
Il nostro corpo ospita un numero di microrganismi superiori a quello delle cellule umane: hanno calcolato che in un uomo di 30 anni di 70 kg ci sono 3,0 x 1013 cellule e 3,9 x 1013 batteri (biorxiv, Sender & Milo, 2016); poi ci sono virus, protozoi, funghi e lieviti che vivono in relazione col nostro sistema immunitario; l’uomo potrebbe essere definito come una comunità di esseri viventi.
Olobionte = termine scientifico per definire la convivenza simbiotica di agenti biologici con DNA diverso. Nell’essere umano la convivenza tra microbi e noi è costitutiva e la nostra storia e identità genetica non può essere descritta solo partendo da geni umani; proprio dalla convivenza con microrganismi scaturisce la costituzione di ciò che l’essere umano come superorganismo è. “Da un punto di vista immunologico, il sé non è un tratto umano, ma il risultato di complesse interazioni tra le cellule umane e una molteplicità di cellule microbiche. Detto altrimenti, ciò che tradizionalmente è stato definito “sé” è in parte dipendente da ciò che è stato tradizionalmente definito come “non sé”. “(Rees, Bosch & Douglas, 2018).
Bisognerebbe avere chiaro in testa qual è il contesto microbiologico in cui si è evoluto geneticamente l’homo sapiens. Parliamo di epoche in cui si viveva in piccoli gruppi sparsi per foreste e savane con rari incontri con altri gruppi. Questo è il contesto in cui si è evoluto geneticamente il nostro sistema immunitario. La nostra evoluzione culturale ci ha portato ora a vivere prevalentemente in metropoli superaffollate, con mobilità e scambi veloci e globali. Il nostro sistema immunitario cerca di adattarsi a questa nuova situazione, ma geneticamente resta costituito per affrontare meglio altri contesti naturali. I virus non sono mai stati accolti da 8 miliardi di persone pronte a fornire il substrato per selezionare con velocità spaventose nuove varianti più contagiose. Sono scenari totalmente nuovi sia per noi, sia per i virus.
Date le nostre scarse conoscenze, per precauzione, nelle fasi iniziali di questa pandemia, la strategia di azzeramento del covid avrebbe avuto un senso, ma sarebbe stata possibile se immediatamente fosse stata condivisa da tutte le nazioni e tutti gli abitanti del pianeta.
Mentre OMS e comunità scientifica occidentale definiscono insostenibile la strategia zero covid, secondo i calcoli dei ricercatori della Fudan University di Shangai tale strategia ha risparmiato più di 1,5 milioni di morti in pochi mesi solo in Cina (Nature medicine 5/2022) e ridotto drasticamente anche i costi economici e sanitari; persino le restrizioni alle libertà e le precauzioni sono state adottate per tempi minori con questa strategia. Tuttavia, ora che si è diffuso negli umani in ogni angolo del pianeta e in molti altri animali e circola per aria, acqua e terra è impossibile da sostenere lo “zero covid” anche in Cina, pur se sono riusciti a contenere molto bene in 3 mesi anche Omicron 2. Sicuramente arriveranno Omicron 5 e Centaurus con un potenziale infettivo difficile da controllare. Inoltre, oggi il clima globale che si respira va nella direzione opposta alla cooperazione e condivisione di strategie e soluzioni globali.
Nella situazione odierna, il problema è come mantenere una convivenza “sana” con questo virus; per gestire un equilibrio dinamico, funzionale alla nostra specie, è fondamentale diminuire la velocità di diffusione del virus e quindi ridurre l’incidenza dei nuovi contagi, che è proporzionale alla probabilità di sviluppare nuove varianti resistenti. Dobbiamo ridurre la velocità per renderla sostenibile alle nostre difese immunitarie individuali e collettive (immunità di gruppo).
In questi 3 anni di pandemia il virus ha sempre giocato in netto anticipo, aggirando con facilità tutte le misure adottate dall’uomo e continua a dominare lo scenario. In poco tempo si muove nello spazio e si evolve sviluppando varianti più adatte a diffondersi. Nemmeno la modernissima e velocissima tecnologia ad mRNA tiene il passo (fino al 2020 pensavamo che la produzione e distribuzione di un vaccino richiedesse minimo 2 o 3 anni, più un anno per la campagna di vaccinazione globale, ma per le varianti covid dovrebbe essere pronto e iniettato un nuovo vaccino in tutto il mondo ogni 2-3 mesi senza poter fare nessuna sperimentazione), e così anche il nostro sistema immunitario; il 10% di reinfezioni sintomatiche nei primi 3 mesi, sia dopo booster che infezione naturale, lo conferma.
Il tempo e la velocità sono due elementi che caratterizzano tutte le relazioni e le convivenze. Le piante impiegano mediamente dai 10 ai 30 anni per adattarsi a nuovi microrganismi, gli animali hanno bisogno di tempi anche più lunghi per trovare equilibri con microrganismi che non mutano, figuriamoci con microrganismi che sviluppano nuove varianti dominanti ogni 4-6 mesi.
Nelle relazioni coi virus queste “velocità” dipendono totalmente dai comportamenti dell’ospite: se stessimo fermi ed isolati queste velocità si azzererebbero nel giro di poche settimane. I comportamenti di 8 miliardi di umani in un mondo globalizzato, consumista, neoliberista fanno sì che la velocità di generazione e diffusione di nuove varianti virali aumenti a livello esponenziale. Non possiamo ogni volta che una nuova variante dominante genera una nuova ondata dire che è stato un evento casuale e imprevedibile. Il virus non diventa più buono o cattivo, come spesso ci raccontano, ma sfrutta i nostri comportamenti per i “suoi interessi” approfittando delle tante probabilità di evoluzione che gli regaliamo semplicemente lasciando crescere l’incidenza dei contagi.
É come giocare a poker dando all’avversario 100 carte invece di 5; infatti dal punto di vista dei numeri stiamo perdendo tutte le “mani”, pur se lui è stupido e senza gambe e noi siamo intelligenti. Le mutazioni dei virus, come le mani di una partita a carte, dipendono dal caso. Ma se adottiamo una strategia vincente su un numero infinito di mani, azzeriamo l’effetto della fortuna. Noi stiamo concedendo al virus un numero quasi infinito di mutazioni casuali, che poi vengono selezionate con l’unico fine di garantire la sua sopravvivenza e diffusione. Non è un caso che le nuove varianti siano sempre più contagiose e da quella di Wuhan con R0 = 1 (R0 = indice di contagiosità intrinseco della variante), siamo passati a 7 della variante delta, fino a 15 di Omicron B.A5 e ora a 20 con la recentissima BA.2.75 (Centaurus); non è un caso che si selezionino varianti più infettive e resistenti a vaccini e anticorpi naturali; è più che prevedibile statisticamente, è proprio matematico.
É un caso invece che la mortalità sia diminuita; un virus può tollerare fino al 3%; in realtà anche livelli di mortalità del 10 % lascerebbero un numero sufficientemente elevato di ospiti in cui diffondersi, tra l’altro in modo più aggressivo. Il problema è che con mortalità superiori al 3 % la paura farebbe cambiare i comportamenti umani che è quello che “temono” veramente i virus.
L’ondata di Omicron B.A5 dimostra che le strategie adottate non funzionano e ci esporranno a notevoli rischi in futuro; non possiamo lasciare libere varianti che si generano e sviluppano ogni 3-4 mesi con fuga immunitaria sia dai vaccini che dagli anticorpi naturali. Ma questo sistema politico-economico-finanziario dimostra sempre più di non riconoscere i propri errori e i propri fallimenti e prosegue immutabile. Dovrebbero cambiare anche i criteri per scegliere i vertici delle istituzioni politiche, sanitarie e scientifiche.
Abbiamo validissimi scienziati e medici competenti, esperti, appassionati e che studiano discipline complesse e in continua evoluzione: Eco-evo-Devo Biology; fisica quantistica e relatività; interazioni tra sistemi complessi; microbiomica, ecologia, statistica, epidemiologia, igiene e prevenzione, etc. Eppure ai vertici delle istituzioni politiche, sanitarie e scientifiche mettono persone incapaci di interpretare la miriade di dati e informazioni globali generate da un banalissimo virus. La maggior parte dei luminari e direttori di vari istituti che parla in televisione e sui social dice cose spesso illogiche e senza mai una visione sistemica del problema; dall’inizio della pandemia continuano a ripetere periodicamente sempre gli stessi concetti, a cicli come le ondate dei contagi. Anche le strategie messe in atto riflettono la mancanza di una comprensione sistemica e non hanno un senso e obiettivi chiari; sembra un continuo “tirar la” per qualche mese senza nessuna lungimiranza e senza riforme strutturali.
Le strategie si basano su misure emergenziali repressive fatte di restrizioni, obblighi, multe e divieti, solo quando la situazione negli ospedali supera la soglia critica e collassano i sistemi sanitari.
Per il resto ci affidiamo a vaccini la cui efficacia dura pochi mesi, farmaci e antivirali.
Abbiamo totalmente rinunciato all’educazione e alla prevenzione primaria che invece sono gli unici interventi strutturali efficaci per ridurre drasticamente la velocità di diffusione del virus e quindi la velocità di generazione di nuove varianti e quindi la velocità di sviluppo di resistenze a vaccini e anticorpi naturali e in definitiva per modificare drasticamente in meglio la nostra relazione di convivenza con questo virus e in generale con tutti gli altri patogeni. È necessario un processo di evoluzione culturale per adattarci a questo virus e ridurre il rischio sempre più crescente di epidemie e zoonosi di ogni tipo che emergono con sempre maggiore frequenza.
Dovremmo riconoscere che sono i nostri comportamenti (mobilità, abitudini e stili di vita, modalità di socializzazione) i responsabili dell’aumentato rischio di epidemie. Abbiamo alterato gli equilibri tra gli esseri viventi e l’ambiente e lo facciamo a velocità sempre maggiori: l’economia deve espandersi e correre e così noi umani; per guadagnare dobbiamo produrre, consumare e inquinare sempre più velocemente il pianeta. Modificando sempre più rapidamente gli ambienti in cui viviamo, non solo aumentiamo la velocità di evoluzione dei patogeni già operativi, ma disturbiamo quelli silenti nei loro habitat naturali trasformandoli in nuovi patogeni potenziali per l’uomo. Si calcola che esistano già 10000 virus pronti a infettare l’uomo e l’aumento di 0,1 gradi della temperatura media del pianeta potrebbe liberarne 500 in un solo anno (Nature 6\2022).
Eppure sembra che non abbiamo nessuna intenzione di cambiare e di vedere questi segnali chiari e inequivocabili di un sistema malato. Non abbiamo intenzione di ascoltare questi allarmi e di rispondere in modo responsabile, o semplicemente di rallentare, che già basterebbe a migliorare le relazioni e ridurre lo stress generale, perché anche il nostro corpo e il nostro cervello faticano ad adattarsi a cambiamenti innaturali sempre più rapidi.
Ascolto, pazienza, rispetto, risposte e responsabilità sono pilastri fondamentali per relazione sane. Ma sembra proprio che questi elementi stiano perdendo il loro valore nelle relazioni umane. Il valore emergente è quello della ricerca dello star bene con sé stessi e pare che sentirsi responsabile di chiunque all’infuori di se ostacoli quest’obiettivo. In quest’ottica la libertà appare come la possibilità di dedicarsi a relazioni sempre nuove ed emozionanti che facciano star bene se stessi. Anche se il risultato di questo processo è solo la depressione, si è diffusa una mentalità dominante per cui il termine responsabilità viene associato solo a pesantezza, obblighi e restrizioni, diventando il contrario di libertà. La cura e la protezione delle fragilità altrui vengono respinte e le proprie fragilità vengono represse. La fragilità diventa solo un fardello. Ed ecco quindi che la strategia contro il covid invece di essere caratterizzata da un approccio preventivo, comunitario e condiviso diventa sempre più uno scarico di responsabilità verso i fragili. Sono quindi i più deboli che devono farsi il vaccino ogni 3-4 mesi, che devono tenere la ffp2, vivere più isolati possibile per sempre.
Eppure la condizione umana è per sua natura fragile: nasciamo inermi, bisognosi di tutto, incapaci di provvedere a noi stessi, ci ammaliamo, soffriamo, siamo incompresi e ci sentiamo soli, invecchiamo. Siamo la specie animale che ha bisogno di un periodo di cure parentali più lungo sia per i processi naturali e istintivi di accudimento (si ipotizza che nelle epoche primitive l’allattamento materno potesse durare fino al 4 anni) sia per i processi educativi che con il progredire dello sviluppo culturale tendono ad allungarsi anche oltre il ventesimo anno di età. Questa relazione di cura fondamentale per l’essere umano dovrebbe innescare una catena di relazioni, prima nella famiglia (figli, fratelli e genitori a loro volta figli di altri genitori e così via) e poi nella società, basate sul legame, sulla responsabilità, la protezione e il rispetto l’uno per l’altro. Invece proprio adesso che potremmo contare su asili e scuole pubbliche obbligatorie fino a sedici anni, associazioni e cooperative che garantiscono l’accudimento dei bambini secondo un ideale di comunità educante che lascia i genitori senza discriminazioni liberi di poter lavorare, si sta creando un cortocircuito. Il dubbio è che alcune di queste comunità e istituzioni non siano finalizzate all’emancipazione delle donne e all’educazione dei bambini, ma siano solo funzionali al sistema produttivo neoliberista e al parcheggio dei bambini in strutture dove le modalità di relazione che apprendono sono tutt’altre. Come i social media, sbandierano il valore della socializzazione precoce, della condivisione coi coetanei, delle attività ludico pedagogiche, ma in realtà promuovono isolamento, disinteresse, superficialità e separazione.
Soprattutto tra i giovani l’approccio dominante al virus oggi è: “Chi me lo fa fare di proteggermi e mettere la mascherina al chiuso e nei luoghi affollati per tutta l’estate, se quello che rischio è solo di farmi un raffreddore di 1-3 giorni; mi godo le vacanze e al massimo passo qualche giorno a letto”. Questo atteggiamento è anche il risultato di un’informazione molto superficiale. È vero che omicron 5 causa meno morti e meno ricoveri in terapia intensiva, ma restano alti i ricoveri ordinari che intasano gli ospedali. L’effetto dell’infezione di tutti i virus non si limita mai alla fase acuta, che comunque, anche con Omicron 5, risulta caratterizzata da forti dolori alla testa, alla gola e alle articolazioni, oltre ad altri sintomi e disagi molto fastidiosi e debilitanti.
Negli USA un recente studio del CDC rivela che il 7,5% degli adulti americani soffre di long covid (il 19% di quelli che hanno fatto il covid); nei bambini, secondo uno studio multicentrico italiano tale dato sale al 24% tra quelli che hanno fatto il covid asintomatico o con sintomi lievi e il 46,5% tra quelli che hanno avuto sintomi covid. Sappiamo poco del long covid ma sono già ampiamente dimostrate le alterazioni funzionali e strutturali a carico di cuore, vasi, cervello e polmoni. Come la maggior parte delle epidemie virali del passato è certo che lascerà nella popolazione delle importanti sequele neurologiche, cardiovascolari e respiratorie. Ci vorranno degli anni per avere dati e informazioni precise, ma quello che è certo è che tali ripercussioni sono proporzionali all’incidenza dei contagi.
Se proprio non si vuole fare prevenzione per proteggere la qualità della vita dei fragili e i già precari sistemi sanitari è bene sapere che gli effetti di un’infezione da covid, anche su un organismo sano, non si limitano ai pochi giorni di sintomi acuti e sono imprevedibili sia nel breve che nel lungo periodo.
Molti virus, come quelli erpetici o i rinovirus, restano silenti e nascosti nel nostro corpo anche per decenni, per poi riattivarsi in particolari condizioni (come il fuoco di S. Antonio). Anche i coronavirus potrebbero adottare questa strategia e per ora è tutta da verificare anche perché ci sono tante varianti molto diverse. Per esempio, in alcuni pazienti hanno trovato dei Sarscov2 diversi mesi dopo l’infezione annidati e silenti nei testicoli o negli interstizi polmonari.
Per precauzione, anche solo per la cura di sé stessi, sarebbe meglio proteggersi per evitare il contagio.
L’atteggiamento verso il virus, invece, tende ad essere sempre più superficiale, fluido, incostante, irresponsabile; non prevede prevenzione ma solo reazione a emergenza e paura, non prevede cura e protezione di sé e dell’altro ma solo dello star bene con se stessi e liberi di provare nuove relazioni emozionanti e divertenti; respinge responsabilità, legami e doveri che appaiono solo come pesanti fardelli che stancano e impediscono di divertirsi.
Non dobbiamo però mai dimenticarci che il virus è solo un codice matematico totalmente dipendente dai nostri comportamenti e dal nostro essere. Siamo noi che guidiamo la relazione.
Questa pandemia è quindi un formidabile evidenziatore ed amplificatore di problemi e di atteggiamenti che esistevano già prima e continuerebbero ad esistere anche se in questo istante il sarscov2 sparisse dal pianeta.
Il modo con cui stiamo affrontando il covid ci dice molto di come l’essere umano sta generando e affrontando tutta una serie di problemi e crisi anche più gravi e che mettono più a rischio la sopravvivenza della nostra specie. Osservare la relazione col covid equivale a osservare le nostre relazioni in generale.
Osservare il covid significa osservare noi stessi; l’andamento della pandemia dipende al 100% dai nostri comportamenti. È una relazione che da 3 anni, oltre a pesanti lutti e sofferenze, ci continua a regalare preziosi segnali e insegnamenti, che continuiamo a non ascoltare.
È un maestro crudele e inflessibile che comunica con numeri e codici e che noi continuiamo a non vedere. Chiede comportamenti responsabili, scelte intelligenti e lungimiranti, cura degli esseri viventi e degli equilibri del pianeta, cooperazione e fratellanza, cambiamenti di abitudini e stili di vita e di consumo, della mobilità, delle modalità delle relazioni sociali etc.
E noi come rispondiamo? Preparando guerre mondiali nucleari; definendo “green” il gas e l’energia nucleare; illudendoci con nuovi vaccini spray totipotenti, quarte e quinte dosi e antivirali miracolosi; contagiando miliardi di persone con omicron 5 in pochi mesi, che è solo l’anteprima di quello che poi succederà in autunno con una delle tante varianti già pronte ai nastri di partenza con il motore turbo da noi fornito.
In effetti se la tecnologia ci fornisse un bel vaccino totipotente contro tutti i coronavirus potremmo spegnere sia il sistema immunitario che il cervello. Ma credo che la tecnologia e le conoscenze che abbiamo sul sistema immunitario, nonostante i formidabili e utili progressi, siano molto lontane da tale obiettivo, se mai possa essere raggiunto e se è auspicabile per il nostro bene. Credo che per affrontare tutte le crisi e i problemi la nostra intelligenza sia ancora la risorsa essenziale se non continuassimo ad usarla solo per generare profitti, distruzione e separazione.
Gli effetti più nobili della nostra intelligenza si manifesterebbero applicandoli nella prevenzione e nell’educazione. Purtroppo, i cardini delle attuali democrazie occidentali sono sempre di più solo il profitto e il consenso a cui prevenzione ed educazione non contribuiscono.
C’è da compiere quindi uno sforzo culturale per ridare valore a responsabilità, cooperazione, lungimiranza, bellezza, cura, fratellanza e legami. Tutti termini che hanno perso il loro fascino originale perché evidentemente non è solo la televisione che ci martella col divertimento, lo svago, la leggerezza, il possesso, la dipendenza e il consumo.
Per curiosità ho osservato vari concerti e raduni in cui folle di giovani con la mano alzata con lo smartphone cantano canzoni trap come se avessero testi profondissimi e musiche con un valore artistico, sociale e innovativo. Vi invito ad ascoltare bene i testi e le musiche, come si guardano tra di loro i partecipanti a questi raduni, come guardano gli schermi sempre accessi per riprendersi, che valore danno all’immagine esteriore, come si vestono e ballano e si muovono tutti uguali pur sentendosi unici.
Se confronto queste relazioni sociali con quelle dei Sapiens nell’età della pietra intenti a costruire nuovi strumenti, penso che quelle odierne siano più simili a quelle di una comunità di virus ed è forse per questo che il Sarscov2 da 3 anni si trova così bene tra noi, e purtroppo anche molte altre epidemie e zoonosi emergenti.
Non possiamo escludere con certezza coinvolgimenti del laboratorio di Wuhan o di altri laboratori segreti nella creazione del Sarscov2, ma mi spaventa molto di più la diffusione del laboratorio globale di relazioni malate che stiamo allestendo ovunque e a tutti i livelli: allevamento e agricoltura intensiva; relazioni mediate da schermi o chiusi dentro locali affollati o moderne arene con la promessa di farci divertire e svagare tanto per non farci pensare.
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Noerua