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Il racconto della giornata di giovedì 26 marzo 2020, attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19,30, dalle enormi difficoltà del governo spagnolo di gestire l’emergenza alla situazione nel Lazio e la completa riorganizzazione del sistema sanitario regionale. L’informativa di Giuseppe Conte al Senato anticipa una maggiore collaborazione del governo con le opposizioni per i prossimi decreti. I grafici di Luca Gattuso sull’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia.

Le difficoltà del governo spagnolo nella gestione dell’emergenza

(di Giulio Maria Piantadosi)

Il governo spagnolo sembra essere incapace di gestire l’emergenza. L’acquisto centralizzato di guanti e mascherine non funziona. I 640.000 test rapidi fatti arrivare in Cina sono risultati difettosi e Madrid ha dovuto rispedirli indietro.
La vicenda ha dato molto fastidio a Pechino, che ha accusato la Spagna di comprare il materiale a un laboratorio non certificato. Intanto negli ospedali la situazione continua ad essere disperata. Molti pazienti sono ancora ricoverati in sale d’aspetto in attesa di essere derivati all’ospedale da campo aperto alla Fiera di Madrid.
Re Felipe VI ha visitato i capannoni, dove sono stati aggiunti altri 250 posti letto, ma la crisi è nelle unità di terapia intensiva. Adesso preoccupa anche la Catalogna. I casi stanno aumentando esponenzialmente e si registrano già quasi 12.000 casi. A Madrid le autorità locali parlano di oltre 50 mila casi non diagnosticati soli nella capitale.
Ieri il Parlamento ha rinnovato fino all’11 aprile lo stato di allarme. Tanto l’opposizione di destra, come gli indipendentisti chiedono a Sánchez la chiusura totale del paese. Ma il governo, con già 1 milione e mezzo di lavoratori in cassa integrazione, si oppone per evitare di danneggiare ancora di più l’economia de Paese. Anche le previsioni della Banca di Spagna sono fosche e annunciano che le famiglie si avviano verso una crisi inedita in decenni.



Spagna, come si è arrivati alla situazione attuale?

(di Emanuele Valenti)

Pochi giorni fa il presidente del governo spagnolo, Pedro Sanchez, disse che il peggio doveva ancora arrivare. Aveva ragione. Nel giro di poco i numeri si sono avvicinati, e continuano a farlo, a quelli dell’Italia. L’accelerazione è stata ancora più breve, e se si considerano decessi e contagi sulla base della popolazione totale, la Spagna è quasi la regione più in difficoltà di tutto il mondo. In proporzione le vittime sono tre volte quelle dell’Iran, e ben 40 volte quelle della Cina, da dove era partito il coronavirus.
Oggi le autorità sanitarie hanno detto che i numeri sono aumentati leggermente meno rispetto a ieri. Questa è l’unica buona notizia della giornata. I particolari di un acquisto dalla Cina di test per verificare l’infezione da coronavirus stanno confermando, proprio in queste ore, la confusione nella gestione della pandemia e l’incapacità del sistema sanitario di fronte a un’emergenza come questa. Considerazione che ovviamente riguarda anche altri paesi.
Ma per quale motivo la Spagna si trova in questa situazione? L’Italia, il paese al centro della diffusione del virus in Europa, è relativamente lontana. E in ogni caso i due paesi non condividono un confine terrestre. Più vicino all’Italia ci sono Francia, Svizzera, Austria, Slovenia. Che hanno numeri molto molto più bassi.
Che cosa può essere successo? Ci possiamo limitare ad alcune considerazioni. Sappiamo della famosa partita di Champions League a San Siro, a Milano, tra Atalanta e Valencia il 19 febbraio.
Tra fine febbraio e i primi di marzo le grandi città spagnole, a partire da Madrid, facevano ancora una vita completamente normale, quindi come da tradizione con molta gente per le strade e nei locali, soprattutto la sera.
L’8 marzo, una settimana prima del lockdown, c’erano ancora manifestazioni, conferenze, incontri, eventi sportivi. Pochi giorni dopo 3mila tifosi dell’Atletico Madrid andarono fino a Liverpool per un’altra partita di Champions League.
E quando sono arrivate le prime restrizioni la loro applicazione è stata lenta, macchinosa e non coordinata. Quando Madrid ha chiuso scuole e università la gente ha avuto la possibilità di andare ancora in giro, di tornare a casa, addirittura di andare al mare o in montagna.
Lo stesso errore – anche adesso va ricordato – si è ripetuto anche in altri paesi.
Il sistema sanitario spagnolo, seppur con più finanziamenti pubblici rispetto ad altre regioni europee, ha solo un terzo dei posti letto pro-capite rispetto a paesi come Germania o Austria. Anche se la situazione è migliore rispetto a Stati Uniti o Gran Bretagna.
La crisi economica del 2008 ha lasciato un segno profondo. Secondo alcuni economisti quando sarà arrivato il momento Madrid avrà bisogno di circa 200 miliardi di euro dall’Europa. Il peggio – diceva Pedro Sanchez – deve ancora venire…



La Regione Lazio riorganizza il sistema sanitario regionale

(di Maria D’Amico)

195 nuovi casi di positività, 11 decessi“. Questi i dati di oggi. Nel Lazio complessivamente i colpiti da Coronavirus sono 1.835 dei quali 844 si trovano a domicilio, 850 negli ospedali e 113 in terapia intensiva. Il bollettino medico che ogni pomeriggio diffonde l’Assessore alla sanità lascia tutti – operatori sanitari, medici, cittadini – con il fiato sospeso sopratutto per il numero di nuovi contagi.
Oggi i centri di diffusione sono stati individuati nelle case di riposo per anziani e negli istituti religiosi che rappresentano un terzo dei nuovi contagiati.
Nel sistema sanitario regionale completamente riorganizzato, sono stati individuati centri hub e spoke dedicati al Coronavirus e realizzati 2.000 posti letto di degenza ordinaria e 450 posti di terapia intensiva. Tutti i grandi ospedali hanno chiuso ambulatori e day-hospital per realizzare reparti COVID e concentrare li il personale medico e sanitario.
Misure eccezionali per non abbassare la guardia, mentre fuori c’è una città deserta con i romani chiusi in casa impauriti dal virus ma anche dai tanti controlli di polizia. Tanta in strada per sconsigliare con verbali e multe, jogging, passeggiatine e tutte le altre attività non autorizzate.



L’informativa di Giuseppe Conte al Senato

(di Anna Bredice)

La costruzione del decreto economico di aprile vedrà un altro percorso rispetto al precedente, il primo a discuterne sarà il Parlamento già domattina con una sorta di cabina di regia tra maggioranza e opposizione: una linea in controtendenza rispetto al precedente decreto che era stato elaborato solo da Palazzo Chigi. Ora si prova ad aprire la strada del dialogo e della condivisione con l’opposizione. Giuseppe Conte ci prova, spinto dal Partito democratico, dai Cinque stelle che sono però più dubbiosi, con un convitato di pietra che si chiama Mario Draghi. “Come ha detto Draghi” è stata la frase più citata questa mattina durante le comunicazioni di Conte da tutti i gruppi parlamentari, principalmente da quelli dell’opposizione, che provano in questo modo a tenere sulla graticola il presidente del Consiglio, ma è anche il Pd ora a chiedere a Conte, attraverso il Ministro dell’Economia Gualtieri, di avere più coraggio, “ci vogliono risposte tempestive” dice una nota dopo la riunione della segreteria a cui ha partecipato a distanza anche Zingaretti, “tempi certi di sblocco della liquidità e sostengo dei redditi“.
Un messaggio chiaro per dire che non basta solo la sospensione dei pagamenti dei mutui o dei contributi, “nessuno deve perdere il lavoro e nessuna impresa deve chiudere“, dicono. “È stato apprezzato, aggiunge il Pd, l’intervento di Draghi per una spinta agli investimenti pubblici come leva”. Un provvedimento quindi che non può pensare solo all’immediato, la scommessa è il riavvio dell’economia quando si ricomincerà a produrre dopo il coronavirus, è chiaro che i 25 miliardi che Conte ha annunciato per aprile, 50 in tutto tra i due decreti, non bastano per affrontare tutto questo e Draghi in qualche modo ha indicato la via da seguire. Da ora in poi è probabile che Conte cambierà modo di agire, coinvolgendo anche le opposizioni, tenendo conto però che il rischio per lui è l’indebolimento politico, soprattutto quando questa crisi finirà.



L’analisi di Vittorio Agnoletto sui dati dell’epidemia diffusi oggi




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