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ESCLUSIVO. L’economista Giuseppe Liturri: “Siamo in recessione e non è lo scenario peggiore”

19 Agosto 2022

ESCLUSIVO. L’economista Giuseppe Liturri: “Siamo in recessione e non è lo scenario peggiore”

“Il secondo semestre del 2022 sarà caratterizzato dalla recessione. La Germania è già coinvolta e noi la seguiremo a ruota. Tutti gli osservatori rilevano che, nel 2023, la crescita dell’Italia sarà la più bassa tra quella dei Paesi dell’Ocse. E questo non è nemmeno lo scenario peggiore”. A parlare è l’economista Giuseppe Liturri, dottore commercialista ed editorialista di rilievo nazionale. Le elezioni del prossimo 25 settembre, comunque, non influiranno sulla situazione, molto critica, in cui si trova l’Italia. Il solco è stato tracciato da tempo: il piano “Fit for 55” (il pacchetto di misure che l’Unione Europea ha predisposto per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55%, entro il 2030), unitamente alla crisi ucraina (con le sanzioni-boomerang comminate alla Russia) hanno stravolto tutte le prospettive in ambito energetico e, di conseguenza, in quello economico. Infine, le misure restrittive nei due anni e mezzo di pandemia, con il connesso blocco della produzione, hanno messo la ciliegina sulla torta. Risultato: ci attendono anni difficili.

Dottor Liturri, siamo ancora in estate ma, alla luce della situazione contingente, qualcuno ipotizza razionamenti e lockdown energetici in autunno. Un Paese su tre nell’Ocse si ritrova con tassi di inflazione a due cifre; nei giorni scorsi la Germania ha annunciato un sovrapprezzo in bolletta da 2,4 cent/kwh. Cosa ci dobbiamo aspettare dopo il 25 settembre, in Italia?

“La data del 25 settembre è rilevante sul piano politico, in quanto si rivelerà uno spartiacque importante per il Paese. Tuttavia, ai fini delle problematiche sottolineate nella domanda, conta poco. Le origini della crisi energetica risalgono all’estate/autunno 2021, quando è stato annunciato il programma dell’Unione Europea, “Fit for 55” e, all’inizio del 2022, in occasione della crisi in Ucraina. Se poi aggiungiamo l’uso spregiudicato da parte di Putin della leva del gas, la situazione -già critica- non potrà che peggiorare. Le sanzioni alla Russia hanno offerto su un piatto d’argento a Putin l’opportunità di colpire: ricordiamoci che è lui ad avere il coltello dalla parte del manico”.

Non c’è la possibilità di correre ai ripari?

“Draghi avrebbe pianificato l’indipendenza dal gas russo entro l’inizio del 2024, cioè tra un anno e mezzo. Se, a breve, non raggiungeremo un accordo con Putin, saremo destinati a soffrire a lungo. Il nuovo Governo si ritroverà la patata bollente tra le mani, in quanto il blackout energetico è già nei fatti: i costi sono talmente elevati che le aziende stanno già riducendo la produzione e, qualora il prezzo dell’energia salisse ulteriormente, vivremo periodi ancora peggiori. Parliamoci chiaro: il secondo semestre 2022 sarà di recessione”.

È proprio certo?

“Non lo sostiene Giuseppe Liturri: lo dicono tutti gli osservatori, tra cui, da ultimo il Fondo Monetario Internazionale. La Germania è già in recessione e noi la seguiremo a ruota. Inoltre, per l’intero 2023, la crescita dell’Italia è stimata come la più bassa tra quella dei Paesi dell’Ocse. E non si tratta nemmeno dello scenario peggiore: in caso di interruzioni di energia e gas, potremmo perdere altri 2 o 3 punti di PIL e la Germania anche di più”.     

Secondo l’Osservatorio rischio imprese di Cerved, nel 2022 le società italiane a rischio fallimento sono quasi 100 mila. Dopo la pandemia, l’Italia non è più ripartita?

“Nel 2020 l’Italia ha subito uno dei peggiori cali del PIL a livello europeo, per il semplice fatto che il nostro Paese, al pari della Spagna, è molto dipendente dal turismo. Nel 2021 abbiamo avuto una ripresa brillante, tuttavia nel secondo trimestre 2022 il nostro PIL ha raggiunto a malapena quello del quarto trimestre 2019, in periodo pre-Covid. Sono trascorsi quasi tre anni: fra l’altro, nel 2019 eravamo molto indietro rispetto ai massimi raggiunti nel 2007 e nel 2008. Le analisi economiche richiedono l’osservazione con una prospettiva più ampia”.

Riguardo al PNRR, Lei in passato ha scritto che: “Gli investimenti finanziati dai 69 miliardi di sussidi e 121 miliardi di prestiti saranno appena sufficienti a far ritornare la loro incidenza rispetto al PIL pari a quella che il nostro Paese aveva già prima della crisi del 2009”. A cosa serve allora il PNRR? Ad ogni modo l’Italia riuscirà a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati entro il 2026?

“Il PNRR ha il compito di far ritornare gli investimenti pubblici a un livello dignitoso, in rapporto al PIL. Serve a recuperare il gap accumulato durante la lunga stagione di politica di bilancio restrittiva iniziata col governo Monti nel 2011. C’è però modo e modo di fare gli investimenti: noi saremo costretti a farli secondo le linee guida stabilite da altri. E questo è il primo aspetto critico. Il secondo: affinché possiamo ricevere i soldi in prestito dall’UE -soldi che andranno restituiti, con gli interessi-, è stata messa in piedi una macchina burocratica costosissima ed una rete di condizioni che si riveleranno controproducenti per il nostro Paese. È vero che, in linea teorica, i costi sono più bassi rispetto al BTP, ma sono stati ignorati tutti gli altri costi connessi al PNRR”.  

Secondo alcuni esperti, il lockdown e il Pass (che di sanitario non ha nulla) avrebbero avuto il fine di “congelare” l’economia, contenendo l’inflazione. Pochi però hanno posto l’attenzione sul fatto che, stampando denaro e bloccando la produzione, prima o poi i problemi sarebbero esplosi…

“Mi sono sempre tenuto lontano da queste interpretazioni, che mi lasciano perplesso. Non so se il fine fosse quello, ma posso soltanto attenermi ai fatti: avendo fermato la “macchina”, nel 2020/2021 siamo andati in deflazione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: si è creato un tale scollamento tra domanda e offerta che, ora, è difficile rimettere insieme i cocci. Si è rotto un equilibrio mondiale tra domanda e offerta e il danno si è rivelato molto grave. Ove mai fosse stata una manovra deliberata, direi che è riuscita male”.

Non tutti i Paesi hanno accettato di comminare sanzioni alla Russia: chi sta pagando le conseguenze maggiori di certe scelte?

“La Germania è drammaticamente nell’occhio del ciclone, ma, come ho spiegato in precedenza, noi la seguiremo a ruota, poiché abbiamo sposato il loro modello di compressione della domanda interna, tutto basato sul trascinamento delle esportazioni. Germania e Italia pagheranno un conto salatissimo. Forse noi ne usciremo prima dei Tedeschi, in quanto loro sono troppo dipendenti dal gas russo. Le decisioni di Putin sono criticabili finché si vuole, e non discuto la scelta di combatterlo su diversi piani ma sarebbe stato più trasparente comunicare ai cittadini che, l’esclusione della Russia dalla comunità economica internazionale, ha i suoi costi. Se l’obiettivo delle sanzioni era quello di far terminare il conflitto, direi che esso è miseramente fallito. Dopo 6 mesi, siamo col prezzo di energia e gas alle stelle e la Russia in piena attività bellica. Così come si è rivelata priva di fondamento la dichiarazione di Draghi: “Vogliamo la pace o il condizionatore acceso?”. Il prossimo inverno ci ritroveremo ancora la guerra e patiremo pure il freddo”.

L’industria 4.0 e la transizione digitale contribuiranno davvero a debellare l’evasione fiscale e a migliorare la vita di imprese e cittadini? Non c’è il rischio di automatizzare il lavoro, diventando schiavi degli algoritmi?

“La decisione di agevolare con grandi contributi la digitalizzazione sta pagando. L’industria 4.0 ha contribuito a dare una spinta agli investimenti privati. Non vedo il rischio di rimanere prigioniero degli algoritmi: lo siamo già, indipendentemente dall’industria 4.0. Per quanto riguarda, invece, la tematica dell’evasione fiscale in relazione alla digitalizzazione dei pagamenti, la Banca d’Italia e la BCE hanno dichiarato che ritenere di debellare l’evasione abbattendo la soglia del contante è un ragionamento che non sta in piedi. Se lo scopo fosse quello, in teoria il contante andrebbe abolito completamente. Tuttavia, impedire l’uso del contante significherebbe consegnare mani e piedi ai padroni dei nostri dati. Inoltre il contante costa meno del digitale e rappresenta uno strumento di grande libertà. Non si può circoscrivere il problema dell’evasione all’idraulico che non fattura 50 euro”.

In tempi di crisi c’è chi acquista oro, chi immobili, chi monete virtuali, chi sceglie soluzioni con capitale garantito e chi decide di aprire conti all’estero: qual è la Sua ricetta?

“Non mi pronuncio sulle singole forme di investimento. Mi limito a fare una considerazione…”.

Prego…

“La BCE ha creato un aumento di liquidità dal 2015. Da allora gli Italiani hanno scelto di investire oltre 600 miliardi di euro all’estero, preferendo strumenti finanziari stranieri anziché i BTP. Rilevo un fatto: dal punto di vista macroeconomico è un bene che l’Italiano investa negli strumenti di debito pubblico. Ovviamente bisogna anche pensare al bene degli investitori. Stiamo attraversando un periodo in cui vengono esaltati i grandi fondi esteri, un po’ esotici, trascurando che siamo tra i Paesi con il più alto debito pubblico nel mondo. Forse sarebbe meglio riportare in Italia  gli investimenti che sono andati troppo in un’unica direzione”.

In piena campagna elettorale i partiti promettono di tutto e di più: dal taglio del cuneo fiscale all’aumento di salari, pensioni e molto altro. Da cosa si dovrebbe cominciare, secondo Lei?

“Possiamo articolare la ricetta in modi diversi, tenendo bene a mente che il saldo di tutte queste operazioni deve tendere al pareggio, come stabilito ed imposto dall’UE. Se prometto di tagliare da una parte e poi sono costretto ad aumentare dall’altra è perfettamente inutile. Ci troviamo in uno scenario di rigore di bilancio, che risponde a regole ormai datate adottate dall’Unione Europea. Io sarei favorevole al taglio di 1 o 2 punti PIL del cuneo fiscale: tuttavia, se poi il taglio va compensato con aumenti di Iva, Imu e altre imposte, come la mettiamo? Finché dobbiamo rispettare la legge di bilancio è difficile apportare cambiamenti significativi”.

Foto, Giuseppe Liturri