Afghanistan, «La sharia dei talebani non è diversa da quella di altri Paesi ma il nodo restano le donne»

di Marta Serafini

Paolo Branca spiega le origini della legge islamica. E avverte: ora per le afghane non sarà per forza come nel 1996. Ma resta il rischio della propaganda e del fondamentalismo

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«I diritti delle donne saranno rispettati entro il quadro della sharia». Con queste parole i leader talebani nella loro prima conferenza stampa hanno esposto al mondo il loro «programma di governo». Una delle questioni più controverse sul tavolo, il rispetto dei diritti femminili, tema già discusso a Doha durante le trattative.

Sharia, dunque, che da un punto di vista occidentale si traduce con lapidazione, frustate e burqa. «Si tratta però di un errore e di una semplificazione», avverte Paolo Branca, docente di Islamistica all’Università Cattolica di Milano. «La sharia, parola che in arabo significa retta via, è la legge islamica che si basa su due fonti: il Corano che stabilisce cosa è proibito e cosa è lecito (haram/halal) e la sunna, la tradizione basata sui versetti del Profeta. Questa seconda fonte si rende necessaria perché nel Corano su seimila versetti solo un centinaio sono “giuridici”. La sharia dunque non è codificata. Assomiglia più al common law anglosassone, basato sulle tradizioni, i pareri (le fatwe) e sulla consuetudine. La sharia è viva e in continuo cambiamento».

Perché allora la associamo all’oscurantismo?
«Perché l’Islam ha vissuto — a differenza della nostra cultura —un’evoluzione storica ribaltata: prima il Rinascimento e poi il Medio Evo e la sharia, nata soprattutto per regolare la vita delle popolazioni nomadi della penisola arabica, è rimasta più rigida rispetto al contesto storico. E non dobbiamo dimenticarci come per l’Islam sia più importante l’ubbidienza (normativa) a Dio che la discussione su di Dio (teologia). Nei Paesi dove la sharia è in vigore dunque la differenza tra peccato e reato non è ancora superata. Aspetto che del resto è riscontrabile anche nell’ebraismo, o che è stato presente anche nel cattolicesimo durante l’Inquisizione. Va considerata poi anche l’evoluzione storica: in Italia ad esempio il delitto d’onore è stato abolito negli anni ‘80, non certo due secoli fa. Dunque non dobbiamo stupirci di fronte a certe norme».

La sharia non regola la vita quotidiana solo in Afghanistan ma anche in molti altri Paesi del Medio Oriente o dell’Asia...
«Sì, con la nascita degli Stati nazione e la fine del Califfato, buona parte degli Stati a maggioranza musulmana si sono dati una loro costituzione e la sharia non ha più regolato alcuni aspetti della vita personale (come il divorzio, ad esempio, o la poligamia). Tuttavia le singole costituzioni mantengono quasi tutte la sharia come fonte di diritto. Per regolare il rapporto con la politica sono stati istituiti dei consigli che valutano l’aderanza delle leggi ad essa. Dunque che cosa voglia dire rifarsi alla sharia cambia da Paese e Paese. E in ogni Paese si impongono regole diverse che spesso non hanno a che fare con la sunna, penso ai matrimoni combinati in Pakistan o ai matrimoni infantili. Ed ecco perché in Afghanistan — ma era così anche senza i talebani — può capitare di essere arrestati se si interrompe il digiuno in pubblico durante il Ramadan o se per le donne se ci si mostra in pubblico non velate. Ma non è così solo in Afghanistan, lo stesso vale per l’Iran, ad esempio».

Perché quando si parla di sharia inevitabilmente il pensiero corre ai diritti delle donne?
«Le fonti della legge islamica fotografano lo status della Penisola Araba di 1400 anni fa, quando erano date per scontate differenze come quella tra schiavo e libero, musulmano e non musulmano. Ma anche quella tra uomo e donna. Gli uomini, secondo il Corano, occupano una posizione superiore alle donne perché sono tenuti al loro mantenimento e protezione. Ma anche in questo caso il Corano fotografa una situazione del passato e non a caso i movimenti femministi musulmani tendono a rivedere la formula sottolineandone l’obbligo di protezione e rispetto a discapito della superiorità. In questa zona grigia va ad inserirsi la propaganda, l’ideologia e la legittimazione dell’uso della forza per il controllo della popolazione. Da qui derivano lapidazioni per le adultere, mani amputate ai ladri e l’impiccagione per i traditori. Dunque va tenuto conto della dimensione politica e di quella storica quando si parla di sharia».

Per quanto riguarda l’Afghanistan, qual è il contesto?
«La sharia era già citata nella costituzione afghana del 2004, dunque non è una certo una novità per la popolazione. Certo, cambiano gli attori. E il rischio che i talebani ne facciano un uso ideologico e propagandistico è alto. Fa ben sperare il fatto che gli studenti coranici non debbano più dimostrare, come in passato, di essere buoni musulmani ma debbano invece mostrarsi come moderati di fronte al mondo e alla comunità internazionale. Il problema per l’Afghanistan è il contesto tribale agevolato dalla geografia di un Paese che, di fatto, non è mai stato governato realmente da nessuno. Inoltre non va dimenticata la differenza tra contesto cittadino e contesto rurale: l’Afghanistan non è Kabul o Herat. Questi venti anni di presenza internazionale hanno visto un certo progresso che ha permesso di non superare certi limiti. Ma non è stato così per tutta la popolazione».

Dunque non dobbiamo preoccuparci per le donne afghane?
«Noi vediamo una minaccia nell’Islam. Ma in tutte le religioni l’evoluzione più lenta riguarda lo status delle donne. La donna di Dio è più donna di Dio quanto meno è donna, a differenza dell’uomo. Ma se ci sarà una riforma e un cambiamento nel mondo musulmano sarà qui in Europa e in Occidente. E saranno le donne parte della diaspora che, avendo l’opportunità di studiare e lavorare, una volta tornate nel loro Paese riusciranno a cambiare la società. Poi, una volta cambiata la società cambieranno anche le leggi e cambierà lo status delle donne musulmane».

18 agosto 2021 (modifica il 19 agosto 2021 | 08:23)