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Il centrodestra già all’attacco del governo, gli appelli per misure più restrittive e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di lunedì 15 febbraio 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Le prime grane per Mario Draghi mentre il centrodestra parte già all’attacco sulla gestione della pandemia. Gli appelli dell’ECDC, il Comitato Tecnico Scientifico e l’Istituto Superiore di Sanità per il rafforzamento delle misure di contenimento in Italia. Dopo il voto di domenica in Catalogna è improbabile, nel breve periodo, un altro strappo come quello del 2017. Infine, i dati di oggi sull’andamento dell’epidemia da COVID in Italia.

Il centrodestra va già all’attacco del governo

(di Roberto Maggioni)

“C’è stato un danno per una scelta del governo e i danni vanno indennizzati”. Parola di ministro di quello stesso governo: Massimo Garavaglia, titolare del turismo, chiamato in Lombardia dalla Lega a difendere la linea del partito e lanciare qualche messaggio. Al ministro Speranza, nel mirino leghista, al resto della compagine di governo e alle categorie produttive. “Non bisogna parlare di ristori, ma di indennizzi quando si reca un danno” ha detto Garavaglia, un cambio di linguaggio rispetto al precedente governo e di sostanza. Del resto Salvini lo aveva promesso durante le consultazioni: è la Lega il partito che farà gli interessi dell’Italia che vuole riaprire e ripartire. “Nell’ordinanza di chiusura è mancato il rispetto per i lavoratori della montagna. Non entro nel merito del metodo, ma non può funzionare così” ha detto ancora garavaglia. Nel merito del metodo ci è entrato invece il presidente lombardo Fontana che ha proseguito l’assalto leghista al Cts e al metodo di lavoro usato da Speranza e Conte: “il sistema va rivisto” ha detto Fontana “il nuovo Governo dovrà mettere mano a tempi e modalità in cui si determinano i cambi di colore e le chiusure. Così è schizofrenico e mi sembra che è stato dimostrato che non va nella direzione di contrastare efficacemente l’epidemia”. La Lega vuole tre cose: gli indennizzi per gli operatori sciistici, ma soprattutto la cancellazione del sistema delle fasce a colori e il rimpiazzo di qualche tecnico del Cts. Se Mario Draghi c’è, batta un colpo: cosa pensa di un ministro (e di un partito) che attaccano il governo di cui fanno parte ancora prima della fiducia in Parlamento? 

Le prime grane per Mario Draghi

(di Anna Bredice)

“Parlare con i fatti”, questa una delle frasi dette da Mario Draghi nel primo Consiglio dei ministri, subito dopo il giuramento, mantenere l’unità pur tra partiti così diversi, evitando la corsa agli annunci, parlando con le cose fatte. Questo sembra il suo proposito, che volente o nolente ha dovuto applicare poche ore dopo con l’ordinanza del Ministro Speranza sugli impianti sciistici, chiusi a poche ore dalla prevista apertura. 
Nel clamore e nelle proteste generalizzate, Mario Draghi non ha diramato nessuna nota, nessun comunicato, anche perché a palazzo Chigi per ora sono state decise le figure dei capi gabinetto e consiglieri più stretti, dello staff della comunicazione ancora invece non si sa nulla.
Eppure una nota ufficiosa era uscita questa mattina, “la decisione di Speranza è stata condivisa con il presidente del Consiglio”, e non poteva andare diversamente, vista la marea di proteste che questa ha provocato: il ministro della Salute doveva avere le spalle coperte, perché il problema che si evidenzia è la possibile disomogeneità tra le decisioni di Speranza e quelle di Maria Stella Gelmini, nuova ministra delle regioni, finora Boccia e Speranza hanno lavorato insieme, e contrastato le offensive aperturiste principalmente di Salvini, ora di fronte alla richiesta di rivedere lo schema dei colori nella chiusura delle Regioni, cosa farà il governo? 
Sul fronte ristori e indennizzi, Draghi nelle poche cose che ha detto ha fatto capire che sono una priorità,  e tutti ora chiedono risarcimenti per la mancata riaperture degli impianti, senza differenze di partito, è nella gestione della pandemia che ora dovrà confermare, come è probabile, le decisioni prese nella scia del precedente governo e degli altri paesi europei. 
Sicuramente ne farà cenno nel discorso che farà mercoledì per la fiducia in Parlamento, consapevole però che la gestione delle chiusure, sia negli spostamenti delle persone, che per le attività commerciali sarà il suo primo banco di prova.

Le misure anti-COVID devono essere rafforzate

(di Andrea Monti)

Le misure anti-covid non vanno allentate, anzi: sarebbe bene rafforzarle. In poche ore il messaggio è arrivato da tre organizzazioni: l’Agenzia Europea per il Controllo delle Malattie, il Comitato Tecnico Scientifico che affianca il governo italiano e l’Istituto Superiore di Sanità. Il problema principale sono le varianti del virus, che si diffondono più velocemente e sembrano trainare l’aumento dell’incidenza dell’epidemia denunciato dal comitato già tre giorni fa. È in questo contesto che si è tornati a parlare di lockdown, a partire da Walter Ricciardi, il consulente del ministero della sanità che ne ha chiesto uno immediato. Diversi esperti gli hanno dato ragione: per il microbiologo Andrea Crisanti chiusure rigide eviterebbero possibili “effetti devastanti” della variante inglese e contro quella brasiliana e quella sudafricana servono misure in stile Codogno, non le zone rosse italiane degli ultimi mesi. Secondo Nino Cartabellotta, presidente della fondazione sanitaria Gimbe, un lockdown di due settimane farebbe abbassare la curva dei contagi e permetterebbe di riprendere a tracciare i casi e i contatti, cosa impossibile su larga scala se la diffusione del covid non rallenta in modo significativo. Va detto che anche in questo caso – come è successo spesso da inizio pandemia – il parere degli scienziati non è unanime: tra chi non si schiera per la chiusura totale (o è proprio contrario) ci sono il virologo e membro del comitato tecnico-scientifico lombardo Fabrizio Pregliasco, che invita a valutare l’impatto sociale e suggerisce zone rosse locali, e il direttore sanitario dell’ospedale Spallanzani di Roma Francesco Vaia, che giudica inutile un nuovo lockdown e chiede di applicare in modo severo le misure già in vigore. 

Catalogna. Spazio ai pragmatici

(di Emanuele Valenti)

Le elezioni catalane ci dicono alcune cose importanti, non solo per la Catalogna ma anche per la politica spagnola in generale. Ci sono delle conferme e ci sono delle novità.
Innanzitutto queste sono state le prime elezioni dal 2017, l’anno del famoso referendum per l’indipendenza.
I partiti indipendentisti sono andati per la prima volta sopra il 50% dei voti, non era mai successo. Nonostante la crisi economica e la pandemia continuano quindi ad avere presa sulla società catalana. Se si considerano anche i partiti che non sono a favore dell’indipendenza ma dell’autodeterminazione (di un referendum) la percentuale sale ben oltre il 50%. [CONTINUA A LEGGERE]

L’andamento dell’epidemia di COVID-19

Negli ultimi mesi tra i grandi paesi europei la più rigorosa in termini di lockdown è stata la Germania, che lo ha introdotto in una prima versione (più leggera) già il 2 novembre. Da allora bar, ristoranti, birrerie hanno potuto lavorare solo per l’asporto. Dal 16 dicembre le restrizioni sono aumentate, con la chiusura dei negozi non essenziali e delle scuole. Nelle settimane successive non ci sono stati allentamenti e pochi giorni fa le misure sono state prorogate fino al 7 marzo. Un altro paese in lockdown è la Gran Bretagna, dove a inizio gennaio è stata annunciata la chiusura delle attività commerciali non essenziali e quella della scuole, anche se con delle eccezioni (per esempio gli istituti hanno continuato ad accogliere i figli dei lavoratori dei settori essenziali). La Francia è stata in lockdown da fine ottobre a metà dicembre, quando è stato introdotto un coprifuoco più esteso di quello italiano: fino a metà gennaio è stato in vigore dalle 20 alle 6 di mattina, mentre nell’ultimo mese è stato ancora più ampio, con inizio fissato alle 18. A queste e altre misure potrebbe riferirsi il comitato tecnico-scientifico quando invita a prendere decisioni in linea “con le strategie adottate negli altri paesi europei”.

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