Ci sono battaglie che sembrano piccole, ma che possono avere una grande portata. 

E’ questo il caso della vertenza che il comitato G.A.E.T.A. di Schivenoglia, in provincia di Mantova, sta portando avanti da anni nei confronti della costruzione di nuovi allevamenti intensivi dell’azienda Biopig, del gruppo Cascone.

Una vertenza che ha già visto un’importante vittoria del comitato con lo stop ad una nuova porcilaia da 10.600 animali, partita con un referendum cittadino e confermata da una sentenza del TAR di Brescia.

Schivenoglia, foto dall’alto di uno stabilimento della Società Agricola Biopig Italia di Cascone Luigi & C.

Da qualche mese la stessa azienda ha iniziato la ristrutturazione di un vecchio stabile: le ex latterie che già ospitano poco meno di 1.000 suini e che a regime ne ospiteranno più di 4.000. Il percorso di autorizzazione di questo allevamento presenta però diverse lacune. La più eclatante è l’esclusione del progetto dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.), cui gli allevamenti intensivi con più di 3.000 suini sono sottoposti in quanto “industrie insalubri di prima classe”. Com’è possibile dunque, dato che l’allevamento in questione ne ospiterà 4.107?

La Provincia di Mantova, nell’accordare al signor Cascone e soci l’esclusione dalla V.I.A., ha scelto di non considerare il numero totale, ma la differenza rispetto ai 3.500 suini che lo stabile poteva ospitare all’ultima data utile per il recepimento nella normativa italiana della direttiva comunitaria per la V.I.A. (3 luglio 1988), stesso numero autorizzato nel 2007, ancora una volta senza richiesta di V.I.A., ai quali era seguita una riduzione a 1.973 capi richiesta dalla precedente proprietà, arrivati adesso a meno di mille nei fatti.  

Un precedente pericoloso basato su nuovi indirizzi operativi dalla Provincia di Mantova per la valutazione di modifiche di insediamenti esistenti, che si basano proprio sulla possibilità di prendere in considerazione la differenza rispetto a precedenti autorizzazioni che, come in questo caso, possono essere vecchie anche di decenni e precedenti a normative ambientali introdotte successivamente, eludendo di fatto le verifiche di impatto ambientale legate a un’attività inquinante che ricadono su un territorio colpito anche da altri impatti. Insomma, se sulle carte si procede per sottrazione, per l’ambiente è invece la somma a contare!

Il Comune di Schivenoglia ha quindi autorizzato questo progetto a fronte della presentazione di una normale SCIA (segnalazione certificata di inizio attività): una procedura simile a quella che si presenta per ristrutturazioni o manutenzioni straordinarie di uno stabile. Ma è sufficiente per dare il via a un’attività inquinante?

Le deiezioni animali raccolte vengono successivamente sparse sui campi, contribuendo all’inquinamento di aria, suolo e acqua.

Sull’inadeguatezza di questo titolo Greenpeace ha presentato a luglio scorso un’istanza al Comune di Schivenoglia, chiedendone il ritiro e la conseguente sospensione delle attività di costruzione e ampliamento dell’allevamento di Biopig. Alla mancata risposta da parte del Comune, Greenpeace ha presentato ricorso al Tar di Brescia, al quale si chiede di accertare la correttezza e legalità del titolo autorizzativo: la SCIA, in virtù della quale i lavori sono intanto andati avanti per tutta l’estate, senza che nessuna autorità chiedesse conto di aspetti come la bonifica del sito che ospita da anni lagoni e vasche di stoccaggio di liquami.

Tutto questo avviene mentre gli allevamenti di visoni di tutta Europa sono al centro di una bufera per la mutazione del virus del Covid-19 scoperta in alcuni stabilimenti danesi, mettendo in luce come il sistema degli allevamenti intensivi in sé costituisca un grosso rischio per lo sviluppo di epidemie simili, offrendo agli agenti patogeni una grande quantità di individui geneticamente identici in spazi ristretti. Un motivo che potrebbe già da solo essere sufficiente a rimettere in discussione l’intero modello di produzione zootecnica, passando per una necessaria riduzione dei volumi di carne prodotti e consumati, come base per una vera transizione ecologica del settore. Purtroppo il Parlamento Europeo sembra non aver ascoltato né la voce della scienza né il grido delle migliaia di piccole aziende agricole che continuano a chiudere, mentre la Politica Agricola Comune (PAC) continua a destinare l’80 per cento dei fondi ad un 20 per cento  di aziende più grandi e circa il 70 per cento  proprio al sistema degli allevamenti intensivi.

In azione al Ministero dell’Agricoltura. Credits: @Tommaso Galli / Greenpeace © @Tommaso Galli / Greenpeace

Da un piccolo comune come Schivenoglia e da tutti quelli in cui sempre più comitati si oppongono agli allevamenti intensivi, alle sedi in cui si decide il futuro dell’Europa, la richiesta è la stessa: smettere di sostenere un modello zootecnico dannoso per il Pianeta e rischioso per la salute e usare i fondi pubblici, da quelli della PAC al Recovery fund, per una vera transizione ecologica del nostro sistema agroalimentare. 

La proposta di PAC recentemente approvata dal Parlamento Europeo però non va assolutamente in questa direzione, è dunque necessario che dalle negoziazioni in corso tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue esca un testo profondamente diverso, altrimenti il Green Deal rischia di rimanere solo un concetto astratto  che non riuscirà a migliorare lo stato di salute del Pianeta e dei nostri territori. 

Ferma gli Allevamenti Intensivi

Quello che mangiamo oggi determina il mondo di domani: non mettiamo il Pianeta nel piatto!

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