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Il racconto della giornata di lunedì 23 novembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia in Italia alle pressioni sul governo per la riapertura degli impianti sciistici e la replica del Ministro Boccia che lascia poco spazio a possibile aperture. La priorità del governo resta la scuola, con 4 milioni di ragazzi e ragazze che oggi sono costretti alla didattica a distanza. La corsa al vaccino per il COVID-19 continua, mentre il Ministero della Salute invi gli ispettori in Sicilia per verificare l’effettiva disponibilità dei posti letto di terapia intensiva dichiarati. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

L’Italia ha superato – con i dati di oggi – i 50mila morti per COVID. Nelle ultime 24 ore sono morte 630 persone. I nuovi casi accertati sono 22.930, 5.400 meno di ieri. Ma di lunedì il numero dei contagi è il più basso di tutta la settimana, perché si riferisce alle analisi della domenica, quando le quantità dei tamponi processati sono inferiori a quelle infrasettimanali. Infatti, il rapporto fra tamponi e positivi resta stabile attorno al 15%. Per la prima volta dall’inizio della seconda ondata, oggi ci sono meno persone attualmente positive: 9mila in meno.
Tornano a calare i ricoveri in terapia intensiva: secondo il bollettino del Ministero della Salute sono 9 i nuovi ingressi nelle ultime 24 ore mentre ieri erano 43, per un totale arrivato a 3.810. Sale invece l’incremento dei pazienti ricoverati nei reparti ordinari. È ancora la Lombardia a far segnare il maggior incremento, con 5.289 casi in un giorno.
Fra Governo e regioni si è aperto un nuovo fronte: quello dell’apertura della stagione sciistica. La pressione è fortissima perché a Natale aprano gli impianti. Le Regioni alpine hanno approvato delle linee guida con le misure che dovrebbero consentire l’avvio della stagione sciistica in sicurezza. Ma l’accento è posto sul danno economico che il rinvio della stagione provocherebbe. “Sarebbe un danno irreversibile all’economia della montagna”, ha detto il vicepresidente della Conferenza delle Regioni Giovanni Toti. Dalla Lombardia parlano di “scelta folle e incomprensibile”. Analoghi toni e appelli arrivano dai diversi operatori economici coinvolti: albergatori, gestori degli impianti, maestri di sci. L’altra questione, in vista del prossimo Dpcm, è quella degli spostamenti tra una regione e l’altra nel periodo festivo. Il ministro Speranza ha avvertito: “Saranno possibili solo se tutte le regioni passeranno in zona gialla”.

Le pressioni per la riapertura degli impianti sciistici

(di Alessandro Principe)

La pressione perché aprano gli impianti sciistici fin da Natale è fortissima. Dalle Regioni, alle comunità montane, dagli albergatori ai maestri di sci, persino ai campioni sportivi. Tutti a ripetere: “Sarebbe un danno irreversibile all’economia della montagna”. La Regione Lombardia, la più colpita dal COVID, con oltre 20mila morti e il sistema sanitario allo stremo, arriva a dire che tenerli chiusi “sarebbe folle, scriteriato, incomprensibile”. Eppure di incomprensibile sulle piste di sci fin’ora abbiamo visto le folle assiepate in coda e ammassate nelle funivie. Era fine ottobre, giusto un mese fa. Le foto di Cervinia e altre località fecero scalpore. Ma sembrano dimenticate.
“È stato un delirio”, dice a Radio Popolare Lorenza Pratali, presidente della Società italiana di medicina di montagna, nonché cardiologa e ricercatrice del Cnr. E amante dello sci.
“Aprire tutto a Natale – continua – sarebbe incoerente con tutti i sacrifici fatti fin’ora”. “Andare a sciare – spiega – non significa scendere da soli in mezzo alla pista. Significa fare la coda per gli skipass e gli impianti; significa trovarsi gomito a gomito con altre persone su una funivia o un’ovovia; significa entrare nei negozi di noleggio di sci e scarponi; significa fermarsi al rifugio”.
La dottoressa Pratali non crede alla soluzione degli ingressi contingentati: “E come si fa? Si fa salire una o due persone per volta? O solo congiunti? E come si controlla?”. Le piste di sci a Natale rischiano di essere quello che ad agosto sono state le discoteche. L’anticamera di una nuova ondata del virus. “Con l’aggravante – riflette Pratali – che il freddo favorisce la diffusione perché le goccioline non subiscono l’essicamento veloce che avviene con il caldo”.
“Sto arrivando allo studio medico – ci dice alla fine dell’intervista chi ci ha concesso dalla sua auto. E conclude: “Posso dirle una cosa? Io come medico cardiologo lo vedo ogni giorno quanto è grave la situazione per i pazienti non covid, che sul territorio non riusciamo più a seguire”.

Boccia: “Molti italiani non ci saranno più il prossimo Natale”

(di Anna Bredice)

“Molti italiani non ci saranno più il prossimo Natale“. Che una parte del governo vedesse come surreale il dibattito su cenoni, capodanni e sci era chiaro e oggi il ministro Boccia, che ha a che fare tutti i giorni con le richieste di aperture delle regioni, ha detto questa frase, così definitiva, che dovrebbe nelle sue intenzioni fermare qualsiasi dibattito su shopping, cenoni e vacanze in montagna. Sono 50mila i morti per COVID che mancheranno nelle case di molti italiani e per Boccia “con 600, 700 morti al giorno parlare di cenone è fuori luogo“, lo dico con molta chiarezza ha aggiunto, stoppando anche il dibattito sull’apertura degli impianti sciistici, “oggi non ci sono le condizioni, valuteremo nel prossimo dpcm“, ha detto. Oggi nella riunione tra le regioni, quelle alpine innanzitutto, hanno chiesto di riaprire al 50% gli impianti di sci, ci sarebbero le condizioni di sicurezza garantiscono e si darebbe lavoro ai circa 15mila maestri e alle quasi 400 scuole di sci. Ma per ora il governo dice no, anche perché se si considera questa una priorità, per altri ce n’è una maggiore che è il ritorno a scuola degli studenti. È in questo clima che si apre la settimana che porta a venerdì 27, quando molte Regioni arancioni e rosse sperano di poter passare nella fascia gialla, quella con maggiori libertà. Ma se questo accadrà, il passaggio non dovrebbe avvenire immediatamente in automatico, non nel giro di due giorni perlomeno, ma solo il 3 dicembre, quando scadrà l’attuale Dpcm, e andrà in vigore uno nuovo che dovrà prevedere una serie di aperture in vista di Natale. Ma l’atteggiamento di una parte del governo, Boccia e Speranza tra questi è di molta cautela. In ogni caso, l’obiettivo che nel governo si guarda con ottimismo è che venerdì possano scendere i contagi in tutte le regioni e iniziare una nuova fase, nella quale però ancora nemmeno si sa se verranno garantite ad esempio gli spostamenti tra una regione e l’altra.

Gli investimenti non fatti per la scuola

(di Michele Migone)

Un’intera generazione di studenti delle superiori rischia di veder compromesso l’anno scolastico a causa dell’inefficienza della nostra classe politica. Attualmente sono quasi 4 milioni i ragazzi costretti a fare didattica a distanza. L’auspicio è di farli tornare in classe a metà gennaio, ma sarà piuttosto difficile che avvenga. Dipenderà dall’andamento dell’epidemia e da alcune condizioni basilari che difficilmente verranno soddisfatte in un mese e mezzo.
Sono condizioni che avrebbero dovuto essere realizzate già a settembre ma che non lo sono state, nonostante i mesi di tempo per farlo. Presidi sanitari, orari differenziati di entrata e uscita, aumento del personale docente, sviluppo del trasporto pubblico urbano.
Non c’erano in settembre e non ci sono tuttora. Prendiamo i mezzi pubblici. Anche nelle ultime settimane c’è stato un rimpallo di responsabilità. Il governo ha stanziato circa 300 milioni, ma é in ritardo con i decreti necessari, le Regioni hanno fatto poco o nulla per ampliare il trasporto extraurbano, le aziende municipali dei trasporti si stanno muovendo ora con le prime commesse per i nuovi mezzi. In gennaio, la situazione non sarà tanto diversa.
Dovevano esserci gli orari differenziati, ma a parte in qualche città, non è stato possibile organizzarli. La colpa è stata data ai presidi, ma per molti non c’erano le condizioni per farlo.
A contribuire a questo fallimento è stata anche la mancanza dei docenti necessari per organizzare la scuola in modo diverso. Così come non hanno funzionato i Presidi sanitari. In realtà, il sistema di tracciamento è di fatto collassato nelle maggior parte delle regioni italiane e anche la scuola ne ha pagato le conseguenze con quarantene prolungate e tamponi in ritardo.
A parole, la scuola è una priorità, nella realtà dei fatti c’è un’intera generazione che rischia di non rientrare in classe per più di un anno, dallo scorso marzo, a parte qualche breve parentesi.

La corsa verso il vaccino

Dopo Pfizer e Moderna nei giorni scorsi, oggi è stata la multinazionale britannica farmaceutica AstraZeneca a diffondere i dati sul suo candidato vaccino. Nella sperimentazione condotta su 20mila volontari il preparato è risultato efficace nel 70% dei casi, una percentuale che arriva al 90% tra i volontari che hanno seguito lo schema di somministrazione rivelatosi più valido: mezza dose subito, e poi una dose intera a distanza di un mese. Questa sarebbe dunque la posologia con cui il vaccino verrebbe messo in commercio se le autorità sanitarie ne validassero i risultati. Risultati che comunque non sono ancora stati pubblicati su riviste scientifiche: “il dossier è in fase di preparazione”, dice l’azienda. L’Oms ha definito incoraggiante l’annuncio, apprezzando in particolare il basso costo del vaccino e la sua facilità di conservazione.

Gli ispettori del Ministero arrivano in Sicilia

Oggi in Sicilia sono arrivati, come annunciato dallo stesso Speranza ieri, gli ispettori del ministero della salute. Obiettivo: verificare l’effettiva disponibilità dei posti letto di terapia intensiva dichiarati. Nei giorni scorsi era infatti circolato un audio in cui un dirigente della regione sembrava sollecitare i manager della sanità a gonfiare il numero dei letti per renderne meno evidente la saturazione. Gli ispettori hanno visitato un ospedale di Catania e poi si sono diretti nel messinese. Mario Barresi è il giornalista de La Sicilia che ha pubblicato per primo l’audio.

Palermo, la sentenza che farà giurisprudenza sui diritti dei riders

Il tribunale di Palermo ha emesso una sentenza che potrebbe fare giurisprudenza sui diritti dei riders. Il giudice ha ordinato all’azienda di food delivery Glovo di assumere un ciclofattorino come dipendente a tempo pieno e indeterminato. La società ha anche l’obbligo di pagarlo con uno stipendio orario, quindi non a cottimo, e applicare il contratto collettivo del Terziario. È la prima volta che un tribunale in Italia impone a una piattaforma di risconoscere la subordinazione. Il lavoratore aveva fatto causa dopo che Glovo lo aveva disconnesso perché era diventato un sindacalista.



L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia 
A cura di Luca Gattuso


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