La mappa dei Comuni italiani che bloccano il 5G

4,5 milioni di italiani vivono in città e paesi che hanno bandito le reti di quinta generazione. Ecco la mappa per scoprire dove sono

Scritta anti-5G nel Regno Unito (foto di Justin Setterfield/Getty Images)
Scritta anti-5G nel Regno Unito (foto di Justin Setterfield/Getty Images)

Il 6 luglio il sindaco, Giuseppe Falcomatà, annuncia ufficialmente l’editto: Reggio Calabria blocca il 5G. Come ha già fatto ad aprile il suo dirimpettaio, il primo cittadino di Messina Cateno De Luca, anche sulla sponda calabrese dello Stretto le reti mobili di quinta generazione sono state bandite. Messina e Reggio Calabria, rispettivamente con i loro 236.962 e 182.551 abitanti, sono i due Comuni più grandi del blocco anti-5G in Italia, la cui lista si allunga di giorno in giorno.

Dalla primavera del 2019 a metà luglio, la quota di italiani che vivono in Comuni dove l’installazione delle nuove antenne è stata proibita ha raggiunto i 4,5 milioni. Detto altrimenti, circa un italiano ogni 13 abita in paesi o città che hanno adottato provvedimenti contro le nuove tecnologie di telecomunicazione.

In alcuni territori il fronte del no si allarga a macchia d’olio. Nelle Marche, per esempio, i divieti dilagano: un cittadino su cinque vive in Comuni contrari e questi sono il 13,9% del totale regionale. Sedici sono quelli in provincia di Macerata e 35 quelli del Fermano, guidati dal capoluogo stesso. A Nord-est un veneto ogni sei abita in paesi e città no-5G. Le roccaforti sono le aree di Vicenza (19 Comuni) e Padova (23). Nella provincia di Lecce si concentra la fronda più nutrita di sindaci contro: 40. Forti resistenze si addensano anche nel Salernitano (17 Comuni), a Bolzano (15) e Cosenza (15). La Sicilia, tuttavia, è la regione dove in assoluto il maggior numero di cittadini rischia di rimanere escluso dalle nuove tecnologie: 845.514 (il rapporto rispetto alla popolazione è invece simile a quello del Veneto). Sull’isola, d’altro canto, tre capoluoghi di provincia si sono schierati contro: oltre a Messina (più quindici città del distretto), anche Siracusa e Ragusa.

Il calcolo effettuato da Wired si basa sull’incrocio dei dati del censimento dell’Alleanza italiana stop 5G (un’associazione che dal 2018 reclama una moratoria delle nuove antenne), documenti ufficiali e articoli di stampa. Se si sommano le ordinanze dei sindaci (l’arma più diretta) a delibere di giunta e del consiglio comunale per bloccare l’installazione delle reti di quinta generazione, da Nord a Sud si contano 431 municipi che hanno alzato le barricate. L’Alleanza dichiara di averne arruolati più di 500, tuttavia occorre escludere quelli che hanno adottato misure meno stringenti (come ordini del giorno, mozioni o delibere di indirizzo), per cui non sussiste un fermo stop al 5G.

Il calo l’effetto Covid-19

Reggio Calabria è l’ultima tra le grandi città ad avere fatto rumore con il suo no. In precedenza altri capoluoghi di provincia, come Siracusa, Udine e Vicenza, si sono messi di traverso. Nel complesso, nonostante l’Alleanza stop 5G bussi ai sindaci dai primi del 2019, i blocchi sono esplosi nei mesi dell’emergenza Covid-19, quando anche in Italia ha attecchito una tesi, priva di fondamento scientifico, che associava le reti di quinta generazione alla diffusione del coronavirus. Wired ha calcolato che in soli cinquanta giorni, tra aprile e il 20 maggio 2020, sono state emesse 200 delle allore 262 ordinanze dei sindaci contro il 5G. La riprova dell’impatto di quella fake news è il calo di questi provvedimenti a lockdown terminato: 18 ordinanze a giugno, sette nei primi quindici giorni di luglio. Sembra che, passata la fase più dura dell’emergenza coronavirus, abbia perso forza anche la pressione sul 5G.

Questo tuttavia non significa che la protesta si è arrestata. Al contrario: prosegue e carica anche città di primo piano, come Reggio Calabria. E restano ancora vive le tesi a cui i sindaci si appellano. È un canovaccio uscito da un’assemblea dell’Alleanza italiana stop 5G, la cosiddetta risoluzione di Vicovaro, e si basa su quattro argomentazioni principali, tutte già smentite, ridimensionate o inquadrate da autorevoli fonti scientifiche (tra cui l’Istituto superiore di sanità). Come il tema del principio di precauzione, la cancerogenità delle onde elettromagnetiche, pronunce di giurisprudenza sul rapporto tra telefoni cellulari e tumori e la questione dell’elettrosensibilità.

Centro vs periferia

La battaglia contro il 5G sta sempre di più assumendo i contorni di uno scontro tra territori. Ha mosso i primi passi tra quei 120 borghi che l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) aveva segnalato alle compagnie di telefonia perché fossero coperti dal segnale anche se fuori dai grandi centri abitati, con l’obiettivo di non acuire il divario digitale del Belpaese, ma poi si è esteso a città più grandi. A Foggia, per esempio, il sindaco non ha emesso un’ordinanza di stop vera e propria, ma ha scritto all’ufficio tecnico di non approvare gli eventuali progetti. A Roma e Venezia quartieri si sono mossi contro.

Nel frattempo a Palazzo Chigi Vittorio Colao, l’ex amministratore delegato di Vodafone a capo di una delle task force governative per l’emergenza Covid-19, ha proposto di alzare i limiti elettromagnetici del 5G, che in Italia sono ben al di sotto della media europea (20 volt/metro (V/m), contro i 31 V/m del Belgio, i 47 V/m della Grecia e i 61 V/m delle linee guida della Commissione internazionale per la protezione delle radiazioni non ionizzanti (Icnirp), adottati in Spagna, Francia, Germania e Regno Unito). Mentre nel decreto Semplificazioni sono entrati emendamenti per bloccare proprio le ordinanze dei sindaci.

Le reti di quinta generazione al momento in Italia sono un fenomeno circoscritto. Come emerge da un rapporto di febbraio della società di consulenza Ernst & Young, il 5G serve solo dieci grandi città (Milano, Monza, Brescia, Torino, Genova, Sanremo, Bologna, Firenze, Roma e Napoli) e 28 comuni dell’hinterland meneghino, per un totale di 6 milioni di persone. Poco più di quelli che vivono in aree no 5G. Per Milano l’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, ha pronosticato entro fine anno il raggiungimento del 90% di copertura. E prima della pandemia Ernst Young stimava che il servizio sarebbe stato esteso al 17% degli italiani nel 2020 e al 31% entro il 2021. Molti Comuni, quindi, hanno bloccato le reti sulla base di fantomatiche sperimentazioni che mai e poi mai sarebbero state condotte sul loro territorio.

Questione di concorrenza

Il rischio è che l’Italia si spacchi in due all’alba di una rivoluzione tecnologica strategica. La Commissione telecomunicazioni alla Camera, guidata dal leghista Alessandro Morelli, il cui partito conta il maggior numero di sindaci no 5G (esclusi quelli espressi dalle liste civiche), nella sua indagine sul tema, fresca di stampa, riferisce che oggi l’80% dell’elaborazione e l’analisi dei dati avviene in data center e strutture centralizzate e solo il 20% negli oggetti connessi in modo intelligente, come automobili, elettrodomestici o robot di produzione o vicino all’utente (edge computing). Tuttavia, secondo dati dell’Unione europea, è probabile che entro il 2025 queste proporzioni si invertano. E perché funzioni serve il 5G, visto che è la tecnologia che permetterà di implementare su larga scala robotica, telemedicina di precisione e chirurgia da remoto, industria 4.0 e la sensoristica diffusa delle smart city.

Da questa trasformazione dipende la competitività futura dell’Italia. Per Asstel, l’associazione che riunisce gli operatori di telecomunicazioni, gli investimenti per il 5G nel periodo 2018-2025 muoveranno tra 55 e 70 miliardi. I ritardi però potrebbero costare caro. Per Ernst Young in Italia 12-18 mesi di slittamento si traducono in “minori benefici stimati tra 2,9 e 43, miliardi di euro”. L’Agcom ha dato alle compagnie tempi stretti per connettere il Paese in 5G: 54 mesi dalla ricezione delle frequenze. Ma se si mettono di traverso ordinanze e ricorsi, il rischio di sforare i tempi è dietro l’angolo. Perdendo quel terzo posto che, secondo l’indice comunitario sui servizi digitali (Desi), l’Italia oggi occupa in Europa sullo sviluppo del 5G.

Un'antenna 5G (foto di Artur Widak/NurPhoto via Getty Images)
Un’antenna 5G (foto di Artur Widak/NurPhoto via Getty Images)

[Come leggere i dati e contribuire: Wired aggiornerà la mappa nel tempo. Il censimento, che confronta i dati dell’Alleanza italiana stop 5G con documenti ufficiali e fonti di stampa, tiene conto solo dei provvedimenti che impediscono concretamente l’installazione di antenne. Non rientrano nel novero dei Comuni no-5G di questo rapporto, quindi, quelli che hanno adottato strumenti più blandi, come mozioni, ordini del giorno o approfondimenti e finanziamenti alla ricerca, poiché non vietano del tutto i progetti delle compagnie telefoniche. Per questo rispetto agli oltre 500 Comuni dell’Alleanza, Wired ne registra di meno. Siccome gli archivi degli stessi municipi non sono sempre di facile accesso, se vi sono errori o mancano alcuni Comuni nella mappa, l’invito è a segnalarceli o a contribuire con documenti tecnici al monitoraggio di questo fenomeno].

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