Milano

"Soffoco, aiutatemi": in Lombardia 60 mila interventi delle ambulanze del 118 nei tre mesi caldi del coronavirus

(fotogramma)
Il bilancio degli operatori delle Areu regionali: a marzo 1.500 persone soccorse ogni giorno, epicentro nella Bergamasca e nel Bresciano. Poi le sirene, con il virus, si sono spostate verso Milano: "Anche per un incidente stradale usciamo con le protezioni, non sappiamo mai se chi soccorriamo è contagiato"
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Il giorno più drammatico di tutta l'emergenza sanitaria l'hanno vissuto tra Bergamo e Brescia. È in queste zone che il coronavirus ha corso più veloce quando in una sola giornata, il 13 marzo, le ambulanze sono uscite 694 volte solo per casi sospetti di Covid-19, quasi la metà, cioè, di tutti gli interventi nello stesso giorno in Lombardia. E poi 650 il giorno dopo, 555 il 22 marzo, 558 il 23. "Soffoco, aiutatemi" è la richiesta disperata che si sono sentiti ripetere gli operatori del 118. Persone che non respiravano più e che chiamavano urgentemente per essere soccorse a casa. E non era finita, perché oltre a questi casi c'erano poi da aiutare anche tutti gli altri malati della zona: infarti, ictus, incidenti. Bergamo e Brescia e Codogno le zone più colpite, e poi Milano.



Il record di interventi fa emergere lo stress straordinario dei lettighieri e la sofferenza che ha attraversato, in momenti diversi, le varie province. E la doppia velocità di azione del virus negli ultimi tre mesi, feroce fino ai primi di aprile e da allora meno violento, ma che in 90 giorni ha richiesto il soccorso di circa 60 mila ambulanze. Le uscite "per motivi respiratori o infettivo" fotografano appunto l'evoluzione del Covid-19 e del suo impatto nelle vite di tutti. Dal 21 febbraio, quando scoppiò l'emergenza con il primo focolaio a Codogno, a oggi, i grafici sull'attività del 118 mostrano l'aggressività del coronavirus nelle varie zone. È da queste curve che si vede che agli inizi dell'epidemia e fino a fine febbraio, gli interventi delle ambulanze per problemi respiratori crescono un po' dovunque. In particolare a Milano e a Monza, a Bergamo e a Brescia e nel Pavese che è l'agenzia regionale di emergenza di riferimento per il Lodigiano, prima area rossa di tutta Italia. "Il primo mese è stato massacrante, i primi giorni eravamo tutti disorientati - aggiunge Canevari - la situazione superava le capacità di qualsiasi sistema. E poi riuscire a portare i pazienti in ospedale ma erano saturi, la coda delle ambulanze. Gli operatori erano molto provati. Anche ora quando usciamo per un incidente non abbiamo certezze su chi soccorriamo, se sia contagiato o meno. Quindi continuiamo a uscire bardati, la situazione continua a condizionarci molto".

Da fine febbraio si vede poi che c'è una curva nei grafici che stacca le altre. È quella della Bergamasca e del Bresciano, della Val Seriana e di Alzano Lombardo con le centinaia di contagiati nelle loro case. Per tutto il mese di marzo il dramma sanitario e umano si consuma principalmente qui. Poi il 30 marzo la sofferenza maggiore si sposta gradualmente altrove, a Milano e nella Brianza dove quel giorno le ambulanze sono intervenute 350 volte per sospetti contagiati contro i 342 di Bergamo. Il sorpasso avviene e si consolida nel tempo: da allora gli interventi del 118 nel Milanese sono sempre stati il numero più alto di tutta la Lombardia, fino a oggi. Numeri, va detto, lontani dalle oltre 1.500 ambulanze che uscivano in un giorno solo a marzo, se si considerano tutte e quattro le Areu della Regione. Ma comunque ancora significativi. Il 2 aprile 363 persone sono state soccorse dall'ambulanza nel Milanese, numeri che nel tempo sono scesi ma che solo a Milano rimangono tutt'oggi ancora a tripla cifra.

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Del resto le sirene in città si sentono ancora molto, troppo spesso. Lo scorso weekend, per dire, tra Milano e Monza in un giorno gli interventi di soccorso sono stati 135, contro i 55 della Bergamasca e i 54 del Lodigiano. Anche i flussi di accesso nei vari pronto soccorso sono cambiati. Un primo studio della Società scientifica dell'Emergenza sanitaria, la Siems, ha paragonato l'attività del 118 con le affluenze spontanee nei pronto soccorso durante la pandemia tra Milano, Genova e Roma. E osserva una più o meno brusca diminuzione del numero di accessi spontanei (dal 78 al 56 per cento del totale) a partire dal 21 febbraio, conseguenza anche degli appelli a non andare in ospedale per evitare rischi se non strettamente necessario. E un raddoppio, dal 22 al 44 per cento, della percentuale dei trasportati dal 118, segnale di un'attività capillare e fitta sul territorio delle ambulanze.