DALL’INVIATO A NEW YORK. Il presidente Trump ha bloccato i fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusandola di aver aiutato la Cina a nascondere l’epidemia di coronavirus. Così ha azzoppato una gamba di quel sistema delle organizzazioni multilaterali, legate all’Onu e non, che lui e i suoi sostenitori più conservatori detestano da sempre. I critici però lo accusano di averlo fatto solo per individuare un capro espiatorio, su cui scaricare la colpa di responsabilità molto simili alle sue.

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Il blocco al momento è temporaneo, tra 60 e 90 giorni, mentre gli Usa conducono un’indagine sul comportamento dell’Oms e verificano la sua volontà di riformarsi. A seconda dell’esito però potrebbe diventare definitivo, orientando i finanziamenti verso una realtà alternativa, come ad esempio UNAIDS. Il segretario generale dell’Onu, Guterres, ha commentato così: «Questo è il momento dell’unità nella battaglia globale per respingere la pandemia di Covid-19 e farla retrocedere, non è il momento di tagliare le risorse della World Health Organization, che sta guidando e coordinando gli sforzi della comunità globale».

Non c’è dubbio che il Covid-19 sia esploso nella Repubblica popolare, con tutti gli interrogativi ancora aperti sulla sua origine naturale, e i sospetti sulla connessione con gli studi condotti nei laboratori biologici militari di Wuhan. Anche senza prendere in considerazione queste teorie cospirative, smentite finora dagli scienziati, Pechino ha almeno due torti: primo, le condizioni igieniche dove si è sviluppato il virus, che devono cambiare se vuole ambire davvero ad essere una superpotenza geopolitica e tecnologica; secondo, la mancanza di trasparenza con cui ha gestito la crisi, che non solo mette in dubbio la credibilità del suo sistema autoritario, ma la rende anche responsabile nei confronti di tutti i paesi dove la pandemia ha fatto vittime, che forse si sarebbero potute salvare se la Cina fosse stata più onesta e collaborativa.

In questo quadro, secondo Trump l’Oms ha avuto la colpa di essere troppo "sinocentrica", avendo prima aiutato la Repubblica popolare a nascondere il coronavirus, e poi criticato la sua decisione di bloccare i voli il 31 gennaio. Quindi il capo della Casa Bianca ha deciso di punirla, bloccando o riducendo i finanziamenti americani, che ammontano a circa un decimo del bilancio da 6 miliardi di dollari dell’organizzazione.

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Fonti dell’Oms, che hanno seguito dal principio la crisi sul piano operativo, rispondono che è stata Pechino a ritardare la comunicazione dei dati di oltre un mese. Dietro le quinte loro si sono infuriati con i cinesi, perché se avessero parlato prima e dato accesso agli specialisti, il virus si poteva fermare all’origine. E’ vero poi che il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato la "public health emergency of international concern" solo il 30 gennaio, e la pandemia l’11 marzo, ma secondo i suoi collaboratori lo ha fatto perché doveva seguire un protocollo di proporzionalità sempre adottato in questi casi. Tedros non aveva attaccato pubblicamente la Repubblica Popolare perché non sarebbe servito a nulla, esacerbando lo scontro proprio mentre serviva invece la collaborazione per fermare i contagi. La resa dei conti, per fare l’analisi degli errori ed evitare di ripeterli, si poteva rimandare a dopo la crisi. Il 31 gennaio invece la Who aveva criticato la scelta dei paesi che bloccavano i voli in arrivo dalla Cina, come gli Usa, per almeno due motivi pratici: primo, a quel punto i buoi erano già usciti dalla stalla, e non era con questo provvedimento che si sarebbe bloccato un virus già in circolazione globale da almeno due mesi; secondo, continuando ad operare gli aerei sarebbe stato più facile controllare chi arrivava dalla Repubblica popolare e isolare i contagiati, mentre così molti malati saranno giunti negli Usa passando da altri paesi, senza che nessuno si sia accorto del loro ingresso. Peraltro ora sappiamo che anche dopo il 2 febbraio, quando lo stop era entrato in vigore, almeno 40.000 passeggeri sono arrivati in America su 279 aerei decollati dalla Cina.

Anche accettando tutte le responsabilità rinfacciate da Trump alla Who, i critici si chiedono in cosa siano differenti dalle sue. Il presidente ha deciso il blocco dei voli almeno un mese dopo aver ricevuto l’allarme sul coronavirus dai servizi di intelligence americani, mentre il 29 gennaio il suo consigliere Peter Navarro aveva scritto un memo con cui avvertiva del rischio di milioni di morti. Il capo della Casa Bianca però non aveva fatto seguire allo stop degli aerei, che rientrava facilmente nella sua retorica sovranista anti cinese, le misure di mitigazione e contrasto interne che sarebbero servite a frenare l’epidemia, forse perché temeva che così avrebbe danneggiato l’economia mettendo a rischio la sua rielezione il 3 novembre. Invece aveva continuato a sottovalutare l’emergenza, ripetendo in varie occasione che era solo un’influenza, sarebbe passata presto, i casi negli Usa erano pochi e sotto controllo. Ora lui sostiene di averlo fatto per non diffondere il panico nel paese, ma davanti al numero più alto al mondo di morti e contagiati, il suo stesso consigliere scientifico Anthony Fauci ha detto che se avesse preso prima i provvedimenti necessari per fare i test e il "social distancing", probabilmente avrebbe risparmiato la vita a migliaia di persone. In diverse occasioni, poi, il capo della Casa Bianca aveva elogiato il suo collega cinese Xi, scegliendo cioè la stessa linea conciliante verso Pechino che ora rimprovera all’Oms.

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Trump adesso si trova davanti ai risultati della sua reazione lenta all’epidemia, ossia il primo paese al mondo per decessi e casi, e oltre 16 milioni di americani che hanno chiesto i sussidi di disoccupazione. La sua speranza è che l’epidemia si fermi prima di novembre, e l’economia venga riavviata entro maggio, in modo da potersi presentare alle elezioni come il presidente che ha salvato il paese. I critici però lo accusano di cercare nel frattempo capri espiatori, come l’Oms, da incolpare se non riuscisse a risolvere la crisi prima del voto.

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