Dunque sarà ancora lockdown per tutta l’Italia fino al 3 maggio, poi «speriamo si possa ripartire, con cautela e gradualità, ma ripartire: dipenderà dai nostri sforzi». L’annuncio del governo è arrivato nella serata del Venerdì Santo, a conferma di quello che in fondo i cittadini avevano già intuito e temuto e cioè che la graduale riapertura del paese, subito dopo Pasquetta, non ci sarebbe stata. E neppure quella del 25 aprile o del 1° maggio, se è per questo. Ma perfino dopo la data annunciata ieri da Conte, la ripresa non avverrà tutta d’un colpo, e, anzi,  "richiederà protocolli di sicurezza sanitari rigorosi" perché bisogna a tutti i costi evitare un contagio di ritorno.

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La proroga del Dpcm "vale anche per le attività produttive, vogliamo ripartire quanto prima ma non siamo ancora in condizioni di ripartire a pieno regime", ha precisato venerdì sera il premier.  Offrendo però subito dopo poi una piccola boccata di ossigeno con l’annuncio che, già dal prossimo martedì, ovvero subito dopo le festività pasquali, cartolibrerie, librerie e negozi per bambini e neonati, potranno ricominciare il loro lavoro. Questo per ciò che concerne il commercio, ma ci saranno nuovi fronti di ripartenza anche per altri settori produttivi ( l’uso delle aree forestali e la silvicoltura; la fabbricazione dei computer; la cura e la manutenzione del paesaggio; le opere idrauliche, il commercio all’ingrosso di carta e cartone. Per le aziende che non possono lavorare è consentita «la spedizione della merce in giacenza, l’accesso ai locali aziendali di personale dipendente o terzi delegati per lo svolgimento di attività di vigilanza, attività conservative e di manutenzione, gestione dei pagamenti nonché attività di pulizia e sanificazione e con comunicazione al prefetto si può spedire oppure accettare la ricezione in magazzino di beni e forniture).

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Si potrebbe guardare a questo primo passo dell’esecutivo verso una tanto attesa normalità, come all’inizio di una riorganizzazione della parte economica e produttiva del nostro Paese. E lo è sicuramente, ma i nuovi provvedimenti scoperchiano ancora una volta, il contenitore ribollente delle contraddizioni, delle frizioni e dello scollamento fra Regioni e Stato. Anche in questo caso alcuni governatori hanno infatti deciso di seguire a metà le regole decise da Roma, applicando varianti autonome sul proprio territorio. A guidare la linea della “devianza” sono Lombardia e Veneto.

In base ad una nuova ordinanza firmata da Attilio Fontana, in Lombardia il commercio al dettaglio di libri e articoli di cartoleria sarà infatti consentito esclusivamente negli ipermercati e nei supermercati. Il presidente della Regione conferma dunque le misure restrittive di contrasto alla diffusione del Covid-19 fino al 3 maggio, ma nella sua regione, a differenza di quanto deciso ieri a livello nazionale dal Governo, librerie e cartolerie resteranno chiuse.

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E’ probabile che essendo la Lombardia la regione che ha pagato il prezzo più alto in termini di contagi e decessi nel corso di questa emergenza sanitaria, chi la governa preferisca frenare un po’ nel cammino verso l’agoniata fase 2. E lo confermerebbe il suo ultimo post su Facebook nel quale si rivolge direttamente ai cittadini esortandoli a non abbassare la guardia: «Cari amici, state a casa: è in gioco la nostra salute e quella dei nostri cari. I dati sono in miglioramento ma non bisogna mollare».

Il Governo regionale, nella sua ordinanza, spiega di ritenere che la possibilità di adottare "misure più restrittive di quelle statali e quindi rigorosamente funzionali alla tutela della salute trovi il suo fondamento negli articoli 32 e 117 della Costituzione".

Quest'ultimo, in particolare, disciplina i rapporti e i poteri di Stato e Regioni. Sempre nell'ordinanza, si fa riferimento alla situazione particolare della Lombardia rispetto al resto del territorio italiano: qui, "il dato epidemiologico è di gran lunga superiore al dato nazionale: al 10 aprile 2020 circa due quinti della popolazione italiana contagiata è lombarda", sottolinea il documento. 

E anche i dati ufficiali di oggi non sono confortanti in effetti.  Nella sola provincia di Milano i numeri sono doppi rispetto a ieri con 520 nuovi casi rispetto a 269 per un totale di 13268. In città i nuovi casi sono 262, ieri erano 127, totale 5368. In tutta la Lombardia rispetto a ieri sono stati registrati 1.544 positivi in più, per un totale di 57.592. I morti sono stati 273, portando il totale a 10.51.

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E un’altro segnale di “disallineamento” rispetto alla strada indicata da Conte, arriva dal presidente del Veneto Luca Zaia che oggi nel corso della consueta conferenza stampa ha annunciato: “Domani presenterò la nuova ordinanza che dovrà tenere conto del fatto che non il nuovo Dpcm di fatto il lockdown non c'è più. Già oggi il 60% delle aziende è aperto e lo si vede dal traffico che è aumentato, a causa del cosiddetto 'silenzio-assenso' cosicché molte aziende in deroga hanno già riaperto».

Il governatore è critico con la reiterata mancanza di comunicazione e sintonia con il governo:  "Non è stata neppure recepita la mia proposta di un 'test'  da sperimentare su un primo gruppo di aziende – lamenta Zaia – e oggi è anche difficile spiegare ad un imprenditore del settore moda, come Renzo Rosso o il Gruppo Benetton perché loro non possono riaprire davanti ad una Fincantieri da 3-4 mila dipendenti che invece sta lavorando regolarmente”.

«Il mio problema ormai - ha precisato Zaia - non è più l’apertura dell’azienda ma la messa in sicurezza dei dipendenti. Martedì il Veneto non sarà più quello di oggi, nel senso che la ripartenza sarà avvenuta, parleremo ancora di misure ma saranno misure impraticabili, vista e considerata la mole di riaperture che ci saranno». «Non sono contrario alle aperture - ha precisato - ma bisogna però farle a rischio zero, o quasi. E i dispositivi, come abbiamo visto dai dati, se ce li hai funzionano. Il problema a questo punto non è riaprire tutto, ma mettere in sicurezza chi è presente alla riapertura. Se altri Paesi non hanno chiuso niente vuol dire che avevano dispositivi che noi per la cittadinanza non abbiamo ancora», ha concluso.

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Guarda caso anche il presidente della regione Veneto la mette dunque sul piano della sicurezza e, non potendo contare su indicazioni da parte dello Stato, si rivolge direttamente a chi è coinvolto nella produttività e si troverà a dover riaprire i battenti in una condizione non poi così controllata. "Agli imprenditori dico: se non potete garantire la sicurezza dei vostri lavoratori fornendo loro i dispositivi di protezione, come mascherine e guanti, non aprite: la Regione continuerà nei controlli: gli Spisal già ne hanno fatti migliaia".

Dubbi e prudenza più che giustificati dal momento che ad oggi in Veneto la partita con il virus non è finita: con quasi 13 mila positivi, oltre 1500 malati ricoverati, 270 in terapia intensiva e 750 morti. 

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