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Il racconto della giornata di mercoledì 8 aprile 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dall’analisi dei dati dell’epidemia di Vittorio Agnoletto al nuovo decreto del governo che dovrebbe arrivare entro sabato e dare il via alla fase 2, anche se i dubbi sulla preparazione dell’Italia ad una prima riapertura sono ancora molti. Anche in Lombardia politici e medici hanno idee molto diverse sulle modalità della fase 2, mentre in Europa non si riesce a raggiungere un accordo sugli aiuti all’economia. In Siria, intanto, cresce la diffusione del coronavirus ed iniziano ad arrivare gli aiuti da Cina e Russia. Infine i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

L’analisi di Vittorio Agnoletto sui dati dell’epidemia diffusi oggi

Sono oltre 3.800 i nuovi casi accertati di coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore, mentre il numero di morti è sceso a 542, 62 in meno rispetto a ieri. È calato il numero di pazienti in terapia intensiva, sia a livello nazionale, 99 in meno, sia in Lombardia, che resta la regione più colpita, 48 in meno.
I morti in Lombardia sono stati 238, a fronte di oltre 1000 nuovi casi accertati. Una lenta diminuzione, che non è omogenea tra province. Oggi spicca l’aumento di positivi in provincia di Brescia, che supera Milano.
Ancora una settimana di sacrificio e poi pian piano ricominceremo” – ha detto l’assessore lombardo al Welfare Gallera, lasciando intendere un allentamento delle restrizioni.
Tema che per il consulente dell’OMS Ranieri Guerra, che fa parte del comitato tecnico scientifico, è ancora prematuro affrontare. “Per la riapertura servono ancora molti passi non siamo di fronte ad una diminuzione netta del contagio, ma solo ad un rallentamento della diffusione. Tutto andrà fatto più avanti, e per fasi”.



Verso la fase 2. Entro sabato il nuovo decreto

(di Anna Bredice)

Entro sabato arriverà il nuovo decreto e se a decidere dovesse essere solo il comitato tecnico scientifico e il Ministero della Salute non cambierebbe nulla rispetto a quello in vigore ora e valido fino al 13 aprile. Dal comitato scientifico, infatti, si chiede prudenza e massima cautela in questo momento. Domani ci sarà una nuova riunione di Conte con il comitato a cui il presidente del Consiglio ha più volte detto di affidarsi, gli ripeteranno ciò che anche il responsabile dell’OMS in Italia e Angelo Borrelli hanno detto oggi, “ora si comincia solo a vedere la luce e riaprire ora sarebbe deleterio, rischierebbe di vanificare tutti i sacrifici“.
Per questo la famosa fase due, una riapertura evidente di più settori e di maggiore libertà non sembra così vicina, dal Ministero delle salute non escludono che la prossima settimana possa essere autorizzata qualche attività produttiva in più, senza che abbia effetti significativi nei numeri, precisano, il resto dei divieti sociali, di chiusure e spostamenti resterebbero ancora. Inail e il comitato scientifico starebbero lavorando ad una mappa di tutte le attività lavorative e il relativo indice di rischio, classificandole in basso, medio e alto, in modo che ogni livello abbia il proprio tasso di protezione a cui fari riferimento, questo per lavorare alle le varie fasi di ripresa, che però al momento non sono così vicine. Ma come più volte ha ripetuto il Comitato scientifico il governo è il decisore politico.



Siamo davvero pronti alla ripartenza?

(di Michele Migone)

Dopo il 13 aprile il Governo dovrebbe dare il via libera alla riapertura di molte attività produttive non essenziali e commerciali. “Seguiremo ciò che dicono gli scienziati, ma non possiamo tenere il paese fermo troppo a lungo” – ha detto Giuseppe Conte. La curva dei contagi sta scendendo, ma non in modo veloce. Tra una settimana come sarà? Forse non molto diversa dall’attuale. Eppure c’è urgenza di fare ripartire fabbriche e uffici.
Le drammatiche previsioni sul PIL parlano chiaro, gli imprenditori premono, molti politici sono d’accordo. Confindustria del nord l’ha chiesto esplicitamente. “Riaprire al più presto. Con il lockdown, gli stipendi del prossimo mese sono a rischio“. Ma quali saranno le condizioni di sicurezza per decine di migliaia di lavoratori? Le mascherine mancano al personale sanitario, figurarsi agli altri. Stesso discorso sui tamponi. A quanti di coloro che torneranno al lavoro verranno fatti? Chi verificherà che i malati non siano ora più positivi? Confindustria dice che è disposta a farsi carico dei test, visto che manca un piano nazionale del governo. Una disponibilità importante che però conferma l’impreparazione con cui si va verso la ripartenza. Bisogna riaprire, ma è evidente che le condizioni per farlo con la massima sicurezza e serenità non ci sono. Il governo rischia di prendersi un pericoloso azzardo. Deve calcolare bene i tempi e le misure se non vuole che il virus torni a galoppare. Il rischio dell’ennesimo “armiamoci e partite” molto all’italiana è discretamente alto.



Lombardia, visioni diverse sulla riapertura tra medici e politici

(di Claudio Jampaglia)

Siamo molto vicini al momento in cui potremmo dire che il primo tempo dalla nostra battaglia è vinto, dice l’assessore Gallera, dopo dieci minuti di autodifesa sui gesti eroici messi in campo da noi, testuale, di fronte alla bomba atomica esplosa in Lombardia. Dodicimila ricoverati circa, in effetti non li ha avuti nessuno. Ciò non toglie che se ora la Regione vuole uscirne deve fare medicina del territorio, più tamponi e poi l’avvio dei test sierologici ancora da certificare. Due azioni che devono sommarsi. CONTINUA A LEGGERE



Europa in stallo sugli aiuti all’economia

(di Maria Maggiore)

Siamo allo stallo, ogni schieramento è rigido e non si intravede per ora una soluzione. Gli olandesi seppur all’interno del governo hanno due partiti procoronabonds e due no, si sono irrigiditi all’ultimo Eurogruppo accettando prestiti senza condizioni solo nella fase dell’emergenza sanitaria. Poi, vogliono vedere un piano di rientro del debito con scadenze, riforme, la solita austerità. Non si fidano.
Di Eurobonds si è parlato pochissimo, rimandando al decisione ai capi di governo. Rimane sul tavolo la proposta francese di un fondo comune capace di emettere emissioni di debito, ma non si è deciso, forse verranno messi solo più soldi nel bilancio europeo. È importante che il fronte del sud, Italia con Francia e Spagna e altri 6 Paesi resti compatto e metta questa volta all’angolo i rigoristi del Nord, che hanno sbagliato approccio punendo la Grecia e mai davvero riconosciuto i propri errori. Pure i quotidiani tedeschi, come lo Spiegel qualche giorno fa, cominciano a prendere posizione a favore della necessità di coronabonds solo per dare stabilità a chi prenderà in prestito denaro.



Bologna dopo un mese di quarantena

(di Riccardo Tagliati)

Bologna. Alle nove del mattino l’incrocio tra via indipendenza e via Rizzoli è deserto. Anche i gradini piazza del Nettuno sono vuoti. In giro solo qualche passante munito di mascherina e/o di cane al guinzaglio. In piazza Santo Stefano persino l’erba è spuntata tra i ciottoli: è questo il centro di Bologna dopo un mese di quarantena, in piena primavera.
In periferia c’è un po’ più di gente in giro: chi va al lavoro, chi è in fila fuori dalla posta o dal supermercato, tutti a debita distanza. Nell’attesa c’è chi ha gli occhi fissi nello smartphone e chi cerca di capire dagli occhi se il vicino è un conoscente o meno. E si parla del virus: insofferenza per la quarantena, paura del futuro ma anche inviti alla pazienza.
E poi c’è la solidarietà: nascono gruppi di mutuo aiuto sui social, Roberto Mantovani, tassista, si offre per portare la spesa ad anziani soli. Spuntano in periferia baracchini per la spesa sospesa: chi può lasci qualcosa e chi ha bisogno prenda. Nei comuni della provincia i servizi sociali insieme ai volontari chiamano gli anziani soli per capirne le necessità. Oppure, come a Marzabotto, dove il comune e i volontari si sono organizzati per portare il giornale a casa a chi ne fa richiesta.
Perché se è vero che da questa brutta storia si esce insieme, quell’insieme è tutto da costruire nei quartieri e nei paesi dormitorio o da ricostruire. Ed è difficile farlo senza un contatto diretto. Ma non impossibile, in terra d’Emilia.

COVID-19, la situazione in Siria

(di Emanuele Valenti)

Stando ai dati ufficiali il Medio Oriente non è ancora tra le regioni maggiormente colpite dal coronavirus, anche se Turchia e Iran hanno numeri in crescita. Una serie di elementi ci dicono che un’eventuale maggiore diffusione del virus in altri Paesi potrebbe provocare in breve tempo l’ennesimo disastro umanitario.
Ci sono sistemi sanitari poco efficienti, ci sono rituali, tradizioni, stili di vita che spesso rendono lento e difficile l’adattamento a misure restrittive introdotte un po’ ovunque nel resto del mondo, ci sono economie colpite dalla caduta del prezzo del petrolio, e soprattutto ci sono guerre e conflitti, quindi milioni e milioni di rifugiati in condizioni insostenibili anche senza il COVID-19.
I Paesi più a rischio sono Siria, Libia e Yemen. In Siria sono ancora più vulnerabili le zone sotto il controllo dei ribelli, dove sono in corso operazioni militari. Emblematica, da questo punto di vista, la provincia nord-occidentale di Idlib, dove vivono più di tre milioni di persone, almeno un terzo in campi di fortuna lungo il confine turco, in alcuni casi anche dall’altra parte della frontiera.
Il monitoraggio della diffusione del coronavirus è già complicato nel resto del Paese, dove stanno arrivando aiuti soprattutto da Cina e Russia. A Idlib è in vigore dal mese scorso un cessate il fuoco, che in linea di massima sta tenendo. Ma dopo le bombe il nemico è diventato ora invisibile, un virus che alle attuali condizioni sarebbe impossibile fermare.
Moltissime persone vivono in tende che ospitano circa dieci persone, con l’acqua razionata, pochissimo supporto medico e condizioni igieniche al minimo. Pensate quante volte al giorno ci stiamo lavando le mani noi in Europa, bene spesso nel nord-ovest della Siria non c’è nemmeno il sapone. E in alcuni casi le tende non sono neanche all’interno di veri e propri campi gestiti dalle agenzie umanitarie.
Al momento non ci sono contagi riconosciuti ufficialmente, ma senza test non potrebbe essere altrimenti.
Nei giorni scorsi l’OMS ha mandato 300 test nella città di Idlib, promettendone altri 2mila, così come un laboratorio per processare i tamponi. Dovrebbero arrivare anche 10mila mascherine e 500 respiratori. Il supporto medico, non sufficiente, non riuscirà certo a prevenire oppure a contenere un’eventuale diffusione del coronavirus. Nei pochi ospedali rimasti operativi dopo tanti anni di guerra è impossibile seguire il protocollo delle misure anti-contagio, figuriamoci come dicevamo per una popolazione che vive in campi aperti senza acqua corrente. Solo nell’ultimo anno sono state bombardate a Idlib decine di strutture sanitarie.
E le cose non vanno meglio più a est, nella zona ancora controllata dall’amministrazione curda. Nel nord-est della Siria c’è un solo ospedale pienamente attrezzato e funzionante. I confini con il resto del paese sono chiusi, così come è molto difficile far entrare gli aiuti umanitari dal confine turco oppure il personale dell’OMS dalla frontiera irachena. Il consiglio di sicurezza potrebbe autorizzare il passaggio, ma è bloccato dal veto russo e cinese. In tutta questa zona – che negli anni scorsi ha visto passare le forze militari di diversi attori della guerra siriana – ci sono solo poche decine di posti in terapia intensiva.



L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia
A cura di Luca Gattuso

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