Quando si tratta di coronavirus, l’atteggiamento del governo britannico resta di souplesse: rilassato anzichenò. Il dato empirico su cui si basa tanto relax? Ieri i casi erano 798, un salto di 208 in più rispetto a giovedì e 136 dei quali a Londra, dieci i decessi. Le persone infette si stimano fra cinque e diecimila.

Così, a parte il rinvio all’anno prossimo delle elezioni amministrative in Inghilterra e Galles, la sospensione della Premier league calcistica e del match delle Sei nazioni di rugby di oggi, sempre fra Inghilterra e Galles, il paese resta “aperto”. Nessuna delle misure drastiche adottate finora dal resto d’Europa, come anche da parte del resto delle isole (Scozia e Irlanda hanno chiuso i battenti: la prima ha vietato i grandi assembramenti, la seconda ha chiuso scuole e uffici pubblici).

Niente chiusura delle scuole, restano aperti i collegamenti internazionali.

Piuttosto, una fase detta delay, con la quale il governo intende ritardare il picco dei contagi all’estate in modo da abbassare la pressione su un sistema sanitario prostrato dai suoi stessi tagli.

In un discorso alla nazione giovedì, in cui molti si aspettavano l’annuncio di misure più importanti, Boris Johnson ha evocato il Malthus dentro di lui avvisando i britannici che molti di loro «perderanno persone care», forse pensando anche alle unità di rianimazione decimate dall’austerity imposta al paese dai suoi.

Ma a parte le ripetute raccomandazioni a mantenere il cosiddetto social distancing, ad autoisolarsi se si tossisce ripetutamente e si ha almeno 37,8 di febbre, il governo non ritiene – sulla base inoppugnabile del fatto che qui si è almeno di un mese indietro all’escalation italiana dei contagi – che valga la pena imporre un coprifuoco che, potenzialmente più duraturo visto detto ritardo, porterebbe al rischio di trasgressione da parte dei cittadini nel lungo periodo. Tale linea proverrebbe dalla simulazione computerizzata della diffusione del virus in Gran Bretagna e da modelli di scienza comportamentista impiegati dai consulenti del governo. Una scommessa enorme sulla vita dei cittadini insomma, che ha attratto sul governo una pioggia di proteste da quella del direttore di The Lancet Richard Horton all’ex ministro della sanità (e già rivale del premier nella corsa alla leadership) Jeremy Hunt.

Due gli elementi in controtendenza rispetto alla (ormai irrevocabilmente ridicola) saga Brexit: il paese insulare per eccellenza e in procinto di chiudersi resta improvvisamente aperto per virus; il premier che ha basato tutta la campagna pre e post referendaria sul non credere agli economisti, si mette nelle mani dei “comportamentisti” in una crisi sociosanitaria globale di schiaccianti proporzioni.

Intanto, nella comunità italiana – 250.000 persone solo a Londra, l’ansia è conclamata. In molti, soprattutto chi lavora nell’università e in alte istituzioni pubbliche, temono l’incertezza e questo demandare ai singoli l’assunzione di decisioni potenzialmente pericolose per la salute propria e altrui.