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Il racconto della giornata di lunedì 30 marzo 2020, attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dall'analisi dei dati dell'epidemia di Vittorio Agnoletto all'ormai imminente proroga delle misure restrittive in Italia. La situazione in Europa e nel Mondo e lo studio che attesta tutti gli errori fatti in Italia nella prime fase dell'epidemia. L'ennesimo slittamento dell’apertura dell’ospedale alla Fiera di Milano e, in chiusura, i dati della diffusione del coronavirus in Italia.

L’analisi di Vittorio Agnoletto sui dati dell’epidemia diffusi oggi

Il dato delle ultime 24 ore registra 75528 positivi al coronavirus, 4050 nuovi positivi I guariti sono 1590, il più alto dall'inizio dell'epidemia, per un totale di 14620.
I morti sono ancora tantissimi, 812 in più nelle ultime 24 ore.
Sono i dati resi noti come tutti i giorni dalla protezione civile. La crescita dei positivi è bassa. Se però si guarda ai dati della Lombardia, la regione più colpita, emerge come nonostante le affermazioni della scorsa settimana da parte dei vertici della regione, il numero dei tamponi effettuati non solo non è aumentato ma addirittura è calato.
In Lombardia si registrano 1154 nuovi contagi per un totale di 41007 e 458 morti nelle ultime 24 ore per un totale di 6818. I tamponi sono stati 3659, in calo costante dagli 81467del 27 marzo. Vittorio Agnoletto ai nostri microfoni denuncia: dati condizionati dalla spinta a riaprire le fabbriche.





Verso la proroga delle misure

(di Anna Bredice)

Fra tre giorni scadrà il decreto che ha vietato le uscite, ha chiuso le scuole e tutte le altre attività. Scade il 3 aprile e in settimana verrà prorogato, al momento non si sa esattamente quando, ma ciò che è altamente probabile è che ci sarà il semplice rinvio di tutte le misure di blocco, uno slittamento in avanti, sicuramente fino a Pasqua, il 12 aprile, poi si vedrà. Nessuno lo dice con certezza, ma molti ritengono che sarà così, anche dopo i dati di minori contagi che arrivano dalla Protezione civile. “Certamente ci sarà un prolungamento, ha detto il presidente del Consiglio superiore di Sanità, ma la durata spetta al decisore politico”. Franco Locatelli però ritiene che proprio per i risultati confortanti che iniziano ad arrivare non si può cedere ora. Il ministro D’Incà è più duro ancora, “riaprire ora tutto sarebbe un insulto alle vittime”. c’è infatti una pressione che arriva soprattutto dalle fabbriche, dal lavoro. Se sulla scuola ormai è certo che ci sarà una proroga, le attività produttive invece spingono. Così come pian piano sta arrivando da molti la richiesta di far uscire i bambini a turno per farli giocare, sia nei cortili condominiali che al parco giochi. Ma su questo, come su altro, c’è ancora molta cautela e da Palazzo Chigi con il condizionale d’obbligo per ora dicono “dopo Pasqua si vedrà”.



Lo studio che attesta tutti gli errori fatti in Italia

(di Michele Migone)

Sottovalutazione, misure prese non in modo organico, un sistema sanitario senza coordinamento e sfortuna. Tutti gli errori della gestione in Italia dell’emergenza corona virus sono stati elencati dalla prestigiosa rivista Harvard Business Review. Si parte dall’ inizio. Dal non aver capito che un piccolo focolaio sarebbe stato solo l’inizio dell’epidemia. Le autorità hanno cercato conferme alle loro ipotesi più che muoversi sulla base della realtà. Non c’è stata elaborazione del dato di fatto.
L’articolo poi cita la campagna Milano non si ferma, le foto degli aperitivi per tranquillizzare la popolazione. Il primo errore. Il secondo è stato quello di chiudere gradualmente e non subito le attività. Il lockdown avrebbe dovuto essere fatto subito e in modo drastico.
Terzo errore: il mancato coordinamento delle autorità sulla gestione. Roma contro le regioni, le regioni che vanno ognuna per la sua strada. L’articolo dell’Harvard Business Review cita la Lombardia e il Veneto, il diverso approccio soprattutto sulla questione dei tamponi. Un quadro lucido di ciò che è successo in Italia nell’ultimo mese. Una fotografia perfetta di un sistema Paese che in realtà non esiste, una macchina con più guidatori e un riflesso burocratico che impedisce di prendere la giusta strada nel giusto tempo.

L’Europa non si sta dimostrando all’altezza della sfida

(di Alessandro Principe)

L’Europa non si sta dimostrando all’altezza della sfida. Gli eurobond non si faranno, a quanto pare. La Germania, l’Olanda e i Paesi del Nord non vogliono un debito condiviso con gli altri. Nemmeno la pandemia sembra modificare questa convinzione radicata. Anche se in Germania si stanno aprendo delle crepe: c’è un appello dei Verdi che potrebbe essere sostenuto anche dalla Spd. Ma il portavoce della cancelliera Merkel, Stefen Seibert, lo ha ribadito: lo strumento da usare è il Mes, cioè il Fondo salva stati.
Se questa è la strada, la battaglia del governo italiano deve spostarsi sulle condizioni di accesso: non possono essere quelle ordinarie, condizioni durissime, pensate dopo la crisi della Grecia. Si dovrà trovare il modo di fare scendere in campo il Mes con regole straordinarie, create per la situazione di emergenza. Prima fra tutte: non l’esame del sangue a un singolo paese, ma un intervento globale per tutta l’Unione.
La BCE sta acquistando titoli degli stati a spron battuto, siamo già oltre i 15 miliardi di euro. Ma il limite dell’operazione è evidente: il debito resta accollato ai singoli stati che se lo troveranno sul groppone, anche se il Patto di stabilità è stato sospeso.
In queste ore si sta ragionando su un’altra opzione: che gli eurobond vengano emessi solo da un gruppo di paesi: il fronte comune di chi ci sta, a partire da Italia e Spagna. I trattati lo consentono, come cooperazione rafforzata. Ma la procedura per autorizzarla è lunga e macchinosa. Inoltre, i titoli emessi sarebbero certamente più deboli rispetto a quelli di un piano di rilancio comune. Per non parlare delle conseguenze politiche di uno strappo così clamoroso.
C’è un’ultima strada, che forse, per come si stanno mettendo le cose, meriterebbe di essere tentata: aumentare il bilancio dell’Unione, creando un fondo speciale per l’emergenza coronavirus. Soldi stanziati solo a questo fine. Nell’Europaramento, che sul bilancio ha un ruolo centrale, una maggioranza ci sarebbe. Anche in questo caso, però, ci vuole il via libera dei governi. Che sono sempre stati avari quando si è trattato di incrementare le risorse dell’Unione.
Lo vedremo presto se l’Europa saprà essere all’altezza. L’alternativa è ognuno per sé. Alternativa miope e pericolosa. Miope perché la recessione sarà pesante e riguarderà tutti. Pericolosa perché sarebbe la resa ai sovranismi che avrebbero argomenti formidabili di fronte a cittadini impauriti e impoveriti.

COVID-19. Cosa sta succedendo nel Mondo?

(di Emanuele Valenti)

A livello globale i decessi legati al COVID-19 sono più di 35mila. Oggi c’è stato un nuovo incremento nella crescita dei contagi anche in paesi, come Giappone e Iran, che si trovano in contesti completamente diversi tra loro.
Nelle ultime ore sono entrate in vigore nuove misure restrittive in Russia, in Nigeria e in Austria. Negli Stati Uniti, secondo un funzionario della Casa Bianca, le vittime potrebbero essere tranquillamente tra le 100 e le 200mila.
In Europa, dopo l’Italia, il paese più in difficoltà è sempre la Spagna. A Madrid e Barcellona non ci sono più posti nei reparti di terapia intensiva. I casi, 85mila, hanno superato quelli della Cina. Il governo Sanchez sostiene però che la curva stia rallentando. In Gran Bretagna l’ordine dei medici ha denunciato che un operatore sanitario su quattro sarebbe malato.
La necessità di introdurre misure restrittive ha dato maggiori poteri ai governi. In Ungheria si sta verificando un caso limite. Il parlamento ha votato oggi poteri eccezionali all’esecutivo di Viktor Orban. Il primo ministro potrà governare con decreto, sospendere leggi in vigore, chiudere il parlamento, annullare le elezioni. Il tutto senza limiti di tempo. In Ungheria, secondo i dati ufficiali, ci sono 447 contagi e 15 decessi.
L’opposizione ha parlato di “dittatura” e di “colpo di stato”.

Slitta ancora l’apertura dell’ospedale alla Fiera di Milano

(di Fabio Fimiani)

Continua in Lombardia la costruzione di nuove terapie intensive per curare i casi più gravi di coronavirus. La capacità è passata in un mese da circa settecento posti a millequattrocento.
Per l’ospedale COVID alla fiera di Milano è stato il giorno della benedizione della diocesi, anche se ci vorrà almeno una settimana perché inizi a entrare in funzione, con i primi cinquanta pazienti, sui duecento-duecentocinquanta che dovrebbe avere a fine costruzione. Inizialmente sarebbero dovuti essere cinque-seicento.
Il lavoro incessante di realizzazione di terapie intensive è affiancato a quello di comunicazione della giunta regionale, che ha deciso di accentrare su di sé tutta l’informazione, senza avvalersi di tecnici.
Per la realizzazione dell’ospedale della fiera è stato chiamato l’ex direttore della protezione nazionale Guido Bertolaso, anche lui ammalatosi di COVID-19. Il finanziamento è avvenuto grazie a industriali vicini al centrodestra e al modello di sanità impostato negli ultimi venticinque anni, tutto incentrato sugli ospedali con pochi servizi territoriali e di prevenzione. Fattori che hanno probabilmente contribuito alla diffusione della pandemia.
L’ospedale della Fiera di Milano è diventato per la Regione un simbolo. Nel palinsesto della comunicazione istituzionale farcito di metafore belliche e sportive è la grande impresa. L’ennesima sovraesposizione poco in sintonia con il dolore che ha pervaso la Lombardia.




L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia
A cura di Luca Gattuso

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