Le elezioni del 4 marzo hanno confermato la tendenza alla forbice, in atto nella società italiana, tra chi auspica un cambiamento e chi vuole chiudersi dietro un muro securitario; l’aspetto paradossale è che le due forze che hanno incarnato queste tendenze, vincendo le elezioni, sono nate fuori dall’orizzonte costituzionale e come partiti antisistema. La sinistra di LeU non è stata in grado di intercettare il desiderio di cambiamento né di contrastare la deriva leghista, il vecchio centro destra e il PD sono risultati dei piani inclinati che hanno offerto voti al M5S e alla Lega. LeU ha subito quindi una sconfitta chiara e i suoi 18 deputati, pur importanti, dovranno avere un mandato da stabilire con un processo partecipato dal basso, se non vogliamo disperdere il patrimonio di attivismo costruito in due mesi di grande impegno per la raccolta delle firme e per la campagna elettorale. La differenza di voti ricevuti tra il nazionale e il regionale ci dice poi che una parte del nostro elettorato è stata attratta dal voto utile e che l’orizzonte strategico di costruire un quarto polo di sinistra in Italia si è scontrato con la paura dell’avanzata delle destre.
Siamo dunque giunti a marzo ed ancora il Presidente della Provincia di Brescia, Pier Luigi Mottinelli, rifiuta pervicacemente di adempiere al proprio dovere istituzionale e di applicare quanto previsto dallo Statuto provinciale e dal Regolamento dei Referendum
A stretto rigore, l’osservanza delle disposizioni regolamentari oggi vigenti imporrebbe che entro il 30 marzo il Presidente emani il tanto sospirato Decreto di indizione del Referendum consultivo provinciale sull’acqua pubblica. Un passaggio che, a ben vedere, sarebbe assolutamente obbligato: il nostro Comitato ha depositato nei termini previsti la richiesta di convocare un referendum in merito ad un quesito chiaro ed univoco riguardante la gestione del servizio idrico integrato, ben cinquantacinque Consigli Comunali – in rappresentanza di altrettante comunità locali del territorio provinciale – hanno deliberato formalmente la propria adesione a tale iniziativa, la Commissione di Garanzia nominata dalla Provincia ha all’unanimità riconosciuto ammissibile tale quesito e legittima la procedura intrapresa, il Consiglio Provinciale, nel corso dell’ultima sua assemblea dell’anno 2017, ha preso atto di tale pronuncia di ammissibilità.
Soltanto l’ostinata indifferenza frapposta dal Presidente Mottinelli e il perdurare del suo inadempimento impediscono ormai ai cittadini bresciani di esprimere il proprio parere circa la forma con la quale dovrà essere gestita per i prossimi trent’anni la risorsa più importante e vitale che la natura ci regala: l’acqua.
L'azzonamento così non funziona. è il parere condiviso di sindaci e consiglieri regionali intervenuti ieri all'incontro sulla sanità organizzato dalla Cgil di Como.
Sia Alessandro Fermi, consigliere regionale uscente di maggioranza, sia Luca Gaffuri, consigliere regionale uscente di minoranza, hanno sottolineato i disagi e le problematiche scaturite dalla decisione, nel 2015, di racchiudere la zona del Centro Lago e le valli con l'Ats della Montagna.
Sul punto sono intervenuti pure i sindaci di Menaggio Michele Spaggiari e di Tremezzina Mauro Guerra, sottolineando le difficoltà della cittadinanza.
Unanime è arrivata la richiesta di fare "retro marcia", qualsiasi sia la maggioranza uscente dalle prossime elezioni regionali.
“Adesso è una questione politica”. Lo dicono dal Pd Stefano Fanetti, Gabriele Guarisco, consiglieri comunali, e Tommaso Legnani, segretario cittadino, alla fine dell’ennesima nottata di freddo in cui diversi clochard comaschi, alcuni storici, hanno dormito all’aperto. “Basterebbe aprire l’atrio caldo della stazione di San Giovanni per permettere loro, in totale libertà, di usufruirne senza per forza rivolgersi a strutture che, evidentemente, sentono come strette – commentano i tre esponenti Pd –. Ma questo è il lato umano della vicenda, quello che la Lega, assessore e sindaco in testa, non sa trattare. Poi, c’è il dato politico: il centrodestra è spaccato su alcune questioni, da ultima quella di come si interviene nei confronti dei soggetti deboli”.
Un anno fa, il 27 febbraio 2017 è stato un giorno che non potremo mai dimenticare per una questione di dignità umana e di responsabilità come individui. Quel giorno il Mediterraneo è arrivato alle nostre porte.
Diakite Youssouf, un ragazzo di 20 anni è morto drammaticamente sul tetto di un treno tentando di attraversare la FRONTIERA tra Italia e Svizzera. Diakite è stato spinto a compiere questo gesto perché non aveva il documento giusto, la pelle del colore adatto, le origini adeguate.
Le persone che muoiono sulle frontiere non muoiono per incidenti casuali: le morti sono conseguenza delle decisioni, delle leggi, dei modi di fare degli stati che ci governano, dei rappresentanti pubblici. Vi verrebbe mai in mente di entrare in un altro paese sul tetto di un treno? Di andare da un paese a un altro in un gommone di plastica con la vostra famiglia? Di dormire nascosto in inverno per strada? Certo che NO. Neanche a loro, e se lo fanno è perché si vedono costretti a causa dell’attitudine disumana e razzista di questo sistema, di questo Occidente.
Diakite era l’ennesimo morto, l’ennesimo morto in un luogo di confine. Oggi, a un anno dalla sua morte, sappiamo che il problema non è stato risolto, altri come lui hanno subito la sua stessa sorte. Un anno fa mettevamo in guardia la società sostenendo che se non si faceva nulla dopo l’accaduto di Diakite altri sarebbero morti. È passato un anno e fra Balerna e Chiasso nel frattempo è morto un altro essere umano che migrava. Qualche settimana dopo Diakite un altro giovane è rimasto gravemente ferito e resterà invalido e mutilato per il resto dei suoi giorni. Un altro ancora è riuscito a salvare la vita per pochi centimetri. Queste persone sono state spinte a sfidare la morte nello stesso luogo dove oggi tutti noi viviamo. Per alcuni la vita, per altri la morte, quando il sangue dei nostri corpi ha lo stesso colore.
“Le strade principali di Como e dei suoi quartieri erano ancora pericolose per il ghiaccio e per la neve ancora a metà mattina e in molti luoghi nessun mezzo del Comune era passato a pulire o a buttare sale”, la denuncia viene da Patrizia Lissi, consigliera comunale del Pd, che stamattina, come molti comaschi e anche persone arrivate da fuori per lavoro in città, si è trovata di fronte all’ostacolo del maltempo.
“Si sapeva da giorni che ci sarebbe stata questa nevicata: l’amministrazione comunale non poteva organizzarsi per tempo e far pulire ai mezzi, fin dalle prime luci dell’alba, almeno le vie principali?”, si chiede Lissi.
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