Ho sempre considerato l'8 marzo, più che una giornata di festa, un'occasione per fare un bilancio sulle questioni legate al raggiungimento della nostra piena cittadinanza e verificare, tra l'elenco delle conquiste fatte e da fare, quali sono le tematiche sul tappeto che ancora attendono risposte, a quarant'anni dall'esplosione della questione femminile come questione politica specifica. Penso anche che questo bilancio debbano farlo le donne, poiché si tratta della loro, della nostra vita concreta e quotidiana. Non possiamo aspettarcelo né delegarlo ad altri. Agli altri, partiti, sindacati, governanti, noi, dobbiamo presentare le nostre istanze ed essere ascoltate.
Cominciamo dal lavoro, da ciò che sta alla base della nostra emancipazione, della nostra libertà. In questo momento si stanno discutendo importanti riforme del mercato del lavoro, ma il dibattito viene affrontato scambiando la parità con l'omologazione della donna all'uomo: lo si è visto nella decisione di aumentare l'età pensionabile uguale per uomini e donne. Manca il riconoscimento formale del valore del lavoro di cura, la sua indispensabilità e l'impatto che questo ha nella tenuta delle relazioni sociali e famigliari. Le riforme del mercato del lavoro e del welfare a misura di donna devono necessariamente andare di pari passo, serve una conciliazione tra Stato-donna-lavoro, per dare atto, nei fatti, al valore sociale della maternità.
Sostiene Francesca Izzo, del Comitato Nazionale Se non ora quando 13 febbraio, “Serve una visione culturale che metta in grado di leggere i mondi del lavoro, l'economia e la vita concreta di uomini e donne... Le donne non solo sono la metà della popolazione, ma sono soprattutto il tramite essenziale tra produzione e riproduzione, mercato e lavoro di cura: chiamano in gioco una diversa regolazione dei rapporti tra Stato, impresa e famiglie... Considerare il lavoratore sul mercato assolutamente libero dai vincoli della riproduzione della vita, ignorare la differenza di genere e operare in maniera apparentamene neutra, ma in realtà solo maschile, è un danno per tutti”
Se non ora, che il sistema in crisi richiede anche di ripensare il nostro modello di sviluppo, quando?
Un tema bruciante che ogni donna sente sulla propria pelle è quello della violenza e dell'uccisione di troppe donne. Voglio esprimerlo con le parole che Marco Monari scrive su Noi Donne, “Può una società tollerare ancora la violenza alle donne? Può una società tollerare che nel nostro Paese 97 donne siano morte, nell'arco di un solo anno, per mano del proprio compagno o ex compagno?”
E possiamo noi, al di là della denuncia, del pianto, dell'aiuto a posteriori, non impegnarci a fondo per sradicare una cultura maschile - ancora persistente nelle civiltà che chiamiamo avanzate - che considera la donna, l'amica, la compagna, la moglie come una proprietà, impedendole con la violenza e l'omicidio, di sottrarsi alle angherie, di cambiare, di scegliere altro per la sua vita?
E' dai ragazzi, dalla scuola che si deve cominciare a costruire il rispetto tra i generi; è anche stigmatizzando la rappresentazione che entra nelle nostre case tramite i media e la pubblicità che si aiuta la realizzazione di relazioni paritarie e di stima reciproca. tra maschi e femmine.
E' anche giunto il momento, non più rinviabile, della presenza paritaria di donne e uomini nei luoghi delle decisioni, del potere. La nostra democrazia non può dirsi compiuta senza questo passo, per permettere di dare visibilità al nostro pensiero politico e ad affermare, insieme a quello degli uomini, un nostro punto di vista sulle scelte per un Italia più giusta e migliore.
Otto marzo 2012, un'occasione per rivolgere lo sguardo su noi stesse.
Tonina Santi