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Prc Lombardia - Una tragedia annunciata quella che si è consumata questa mattina nel campo di Moria nell'isola greca di Lesbos, dove sono costipati oltre 20.000 profughi in gran parte provenienti dalla Siria e in fuga dalla Turchia. Non sono bastati i respingimenti a bastonate della guardia costiera greca e i raid dei neonazisti provenienti da mezza Europa, non è bastato il cinismo delle autorità UE che giustificano le misure repressive e finanziano Frontex per impedire ogni avvicinamento ad altri paesi europei. E non è bastato neanche il blocco delle domande di asilo imposto dal governo greco. Oggi una bambina è morta, ma il calcolo delle vittime non è ancora definitivo, nel frattempo Ursula Van Der Leyen dichiara che non è sufficiente chiudere le frontiere interne dei paesi UE ma bisogna chiudere l'Europa per evitare il covid 19. Un virus che se comincia a colpire nei campi profughi mieterà vittime di ogni età.

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Gli organizzatori di Fridays For Future in diversi paesi annunciano che sostituiranno gli scioperi maggiori con azioni online a causa del rischio rappresentato dal nuovo coronavirus. Il nuovo coronavirus si sta rapidamente diffondendo in tutta Europa, con più di 20.000 casi confermati ad oggi. Gli assembramenti di persone rappresentano un rischio perché favoriscono un’ulteriore diffusione del virus. Per questo motivo, gli organizzatori di Fridays For Future, in rappresentanza di diversi paesi europei, hanno deciso di iniziare a scioperare online lanciando l'hashtag: #ClimateStrikeOnline.

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Da sempre per la sinistra, per gli Italiani in genere, l’America Latina ha un posto speciale nella geografia del cuore. Dalla fine del XIX secolo, si può dire fino ai giorni nostri, un cordone ombelicale fatto di sofferenza e partenze ha legato i nostri migranti ad una terra geograficamente così lontana. Metà della popolazione Brasiliana ed Argentina e anche una buona percentuale della popolazione cilena sono di origine italiane, e non poche migranti di ritorno hanno come nome proprio America, a ricordo delle speranze che in quella migrazione avevano posto i loro nonni.

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Rojava, la tentazione è di farne una lettura congeniale alle nostre speranze.

C'è chi la vede come un sogno anarchico, come Barcellona del 1936, chi come il sottoscritto, che anarchico non è mai stato, è tentato di vederla come la Comune di Parigi... ma è altra cosa. Rojava è straordinariamente piantata nel nostro tempo: è universalista, ambientalista, femminista e comunitaria, in regioni dove tutto sembra imbarbarirsi. È entrata nella mente e nei cuori di persone in tutto il mondo, di tutte le idee e anche senza idee. Oggi Rojava, è un sacrificio e un lascito a tutta l'umanità. Ha parlato con il linguaggio di un Mondo da salvare... dalla guerra, dalle discriminazioni, dall'intolleranza.
E Rojava non nasce in Siria e non morirà in Siria.
Viene dal passato che nessuno ricorda e dal retroterra della lunga lotta di 15  milioni di curdi di Turchia, del PKK, dal suo dibattito interno e dalla sua maturazione nel corso degli anni. Una lotta di decenni non solo armata e per l'autodeterminazione, ma una rivoluzione culturale, emancipatoria di donne e uomini. Fatta anche di politica, fatta di partecipazione alle elezioni, in 20 anni 15 partiti curdi sciolti e ricostruiti. E di governo di grandi città come Dyarbakir, Batman, Van. E tutto ciò in mezzo ad una guerra tremenda, senza incrudelirsi. L'odio per i curdi e per tutte le realtà diverse è invece radicato nel DNA dei turchi. Non c'era allora il Sultano Erdogan; c'erano i governi turchi, fascisti, golpisti e… laici. Che in 10 anni, dall'83 al '93, avevano ucciso più di 30000 persone, incarcerato e torturato altre migliaia, bruciato 3000 villaggi e provocato tre milioni di profughi, nel silenzio dei democratici europei. Una guerra desaparecida per la stampa internazionale che sapeva e taceva. E con l'Italia che consegnava nel disinteresse generale Ocalan al carcere a vita.

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