Rojava, la tentazione è di farne una lettura congeniale alle nostre speranze.
C'è chi la vede come un sogno anarchico, come Barcellona del 1936, chi come il sottoscritto, che anarchico non è mai stato, è tentato di vederla come la Comune di Parigi... ma è altra cosa. Rojava è straordinariamente piantata nel nostro tempo: è universalista, ambientalista, femminista e comunitaria, in regioni dove tutto sembra imbarbarirsi. È entrata nella mente e nei cuori di persone in tutto il mondo, di tutte le idee e anche senza idee. Oggi Rojava, è un sacrificio e un lascito a tutta l'umanità. Ha parlato con il linguaggio di un Mondo da salvare... dalla guerra, dalle discriminazioni, dall'intolleranza.
E Rojava non nasce in Siria e non morirà in Siria.
Viene dal passato che nessuno ricorda e dal retroterra della lunga lotta di 15 milioni di curdi di Turchia, del PKK, dal suo dibattito interno e dalla sua maturazione nel corso degli anni. Una lotta di decenni non solo armata e per l'autodeterminazione, ma una rivoluzione culturale, emancipatoria di donne e uomini. Fatta anche di politica, fatta di partecipazione alle elezioni, in 20 anni 15 partiti curdi sciolti e ricostruiti. E di governo di grandi città come Dyarbakir, Batman, Van. E tutto ciò in mezzo ad una guerra tremenda, senza incrudelirsi. L'odio per i curdi e per tutte le realtà diverse è invece radicato nel DNA dei turchi. Non c'era allora il Sultano Erdogan; c'erano i governi turchi, fascisti, golpisti e… laici. Che in 10 anni, dall'83 al '93, avevano ucciso più di 30000 persone, incarcerato e torturato altre migliaia, bruciato 3000 villaggi e provocato tre milioni di profughi, nel silenzio dei democratici europei. Una guerra desaparecida per la stampa internazionale che sapeva e taceva. E con l'Italia che consegnava nel disinteresse generale Ocalan al carcere a vita.
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