La mia preliminare per l’intitolazione di una strada o di una piazza a Vittorio Arrigoni (21 giugno 2016)
Restiamo umani, anche quando intorno a noi l’umanità pare si perda. Ce lo chiedeva da vivo e continua a chiedercelo ogni giorno, Vittorio Arrigoni, giornalista, attivista per i diritti umani, volontario dell’International Solidarity Movement, ucciso a Gaza, a trentasei anni, il 15 aprile del 2011, poche ore dopo il suo sequestro.
Vittorio ogni giorno per anni ci ha raccontato, con parole e immagini la vita vera e la lotta per la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse a Gaza, assediate, bombardate, affamate, umiliate.
Vittorio aveva scelto di stare all’inferno per aiutare chi dall’inferno non poteva andarsene, per rompere il silenzio indifferente sulla Striscia di Gaza, un buco nero nella cronaca e nella politica, una gigantesca macchia oscura nella morale collettiva, impastata di indifferenza e di complicità con l’orrore.
“Restiamo umani”, ci ha sempre ripetuto Vittorio, a qualunque latitudine. Facciamo parte della stessa comunità. Ogni uomo, ogni donna, ogni piccolo di questo pianeta, ovunque nasca e viva, ha diritto alla vita e alla dignità. Gli stessi diritti che rivendichiamo per noi appartengono anche a tutti gli altri e le altre, senza eccezione alcuna.
Vittorio viveva a Gaza da anni. Aveva scelto di stare lì, con i suoi occhi testimoni e il suo corpo solidale. Aveva visto il furto di terra e di acqua, la demolizione di case, la distruzione di coltivazioni e di barche di pescatori (era stato anche ferito mentre li accompagnava a pescare cercando di proteggerli con il suo corpo dagli attacchi armati dell’esercito israeliano. Vittorio aveva visto i malati di cancro rimandati indietro “per questioni di sicurezza” al valico di Eretz tra Gaza e Israele, aveva visto palestinesi trattati con disprezzo, picchiati, umiliati. Aveva visto la disperazione dei pescatori a cui veniva impedito di pescare e aveva visto la disperazione dei contadini abbracciati a un albero di olivo mentre un bulldozer glielo porta via. Aveva visto donne partorire dietro un masso per l’impossibilità di raggiungere un ospedale. Aveva visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini e delle bambine e i loro corpi spezzati. Aveva visto morire neonati prematuri perché in ospedale è mancata l’elettricità per trenta minuti. Aveva conosciuto bambini e bambine che non hanno avuto altro che dolore da quando sono nati. Aveva sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notti gelide di Gaza senza riscaldamento, e senza luce. Aveva assistito a Gaza durante Piombo fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) alla distruzione di migliaia di case e all’uccisione più di tremila persone tra cui centinaia di bambini che certo non tiravano razzi.
Il 30 maggio scorso è stata presentata al sindaco del Comune di Como una petizione - promossa dal Comitato Comasco pro Arrigoni e sottoscritta da oltre 600 persone, tra le quali anche colleghe e colleghi consiglieri - che chiede l’intitolazione di una strada o di una piazza della nostra città a Vittorio Arrigoni.
Intitolargli una strada o una piazza, a Como, Città messaggera di Pace, non serve solo a ricordare Vittorio, consente a Vittorio di continuare a seminare l’insopportabilità dell’ingiustizia, a parlare ai nostri cuori e alle nostre menti. Permette a noi di ascoltare e di restare umani, umane, per lui, per Vik, giusto, appassionato, umano.